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    Martedì, 13 Agosto 2013 16:47

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    Giovedì, 25 Aprile 2013 18:41

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    Mercoledì, 24 Luglio 2013 21:20

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    Domenica, 03 Febbraio 2013 18:53

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    Venerdì, 08 Novembre 2013 12:11

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Platone - Protagora

«Verso altre cose, allora!». «Sì », rispose. «E non accade forse che i vili affrontino imprese sicure, e i coraggiosi,invece, imprese rischiose?» «Così dice la gente, Socrate!». «Quello che dici», dissi, «è vero, ma non era questa la mia domanda, bensì che cosa sia, a tuo giudizio, ciò verso cui i coraggiosi sono intrepidi. Sono intrepidi verso le imprese rischiose, pur considerandole rischiose, o verso quelle imprese che rischiose non sono?» «Ma questo», rispose, «nei ragionamenti che hai appena fatto si è dimostrato impossibile!». «Anche in questo», dissi, «dici il vero. Sicché, se la dimostrazione è corretta, nessuno affronta imprese che considera rischiose, visto che l'essere succubi di se stessi si è scoperto essere ignoranza». Lo ammise. «Ma tutti, invece, vili e coraggiosi, affrontano le imprese sicure, e, almeno in questo, vili e coraggiosi affrontano le stesse imprese». «Però, Socrate», rispose, «è del tutto opposto ciò che affrontano i vili rispetto a ciò che affrontano i coraggiosi: per esempio alla guerra, questi vogliono andare, e quelli non vogliono».

«E andare alla guerra», domandai, «è un'azione bella o brutta?» «Bella», rispose. «E se è vero che è bella», dissi, «è anche buona: così abbiamo convenuto nei precedenti ragionamenti». «è vero quello che dici, e io sono sempre della stessa opinione». «Bene!», dissi. «Ma chi sono, secondo te, coloro che non vogliono andare alla guerra, benché essa sia un'azione bella e buona?» «I vili», rispose. «E se è bella e buona», chiesi, «non è forse anche piacevole?» «Almeno così si è stabilito», rispose. «E i vili non vogliono affrontare ciò che è più bello, più buono e più piacevole, nella consapevolezza che è tale?» «Ma anche in questo caso, se ammettiamo ciò», rispose, «mandiamo in malora quello che abbiamo prima convenuto!».

«E che dire del coraggioso? Non affronta forse ciò che è più bello, più buono e più piacevole?» «Bisogna ammetterlo!», rispose. «In generale, allora, i coraggiosi, quando hanno paura, non hanno brutte paure, né, quando sono audaci, hanno brutte audacie». «è vero», disse. «E se queste non sono brutte, non sono forse belle?». Lo ammise. «E se sono belle, sono anche buone?» «Sì ». «E, al contrario, i vili, gli audaci e i pazzi, non hanno forse brutte paure e brutte audacie?». Lo ammise.

«E sono audaci in cose brutte e cattive per altra ragione che non sia per incoscienza e per ignoranza?» «Così stanno le cose», rispose. «E allora? Quello per cui i vili sono vili, lo chiami viltà o coraggio?» «Lo chiamo viltà», disse. «Ma i vili non risultarono essere tali a causa della loro ignoranza delle cose che incutono timore?» «Certo», disse. «E allora a causa di questa ignoranza che sono vili?».

Lo ammise. «Ma non hai già ammesso che ciò per cui sono vili è la viltà?».

Disse di sì . «E, allora, l'ignoranza delle cose temibili e delle cose non temibili non risulta identificarsi con la viltà?».

Annuì . «Ma il contrario della viltà è il coraggio», dissi. Consentì . «E la conoscenza delle cose temibili e delle cose non temibili non è forse contraria all'ignoranza di esse?». Anche qui fece cenno di sì . «E l'ignoranza di queste cose non è la viltà?». Qui annuì piuttosto a malincuore. «La conoscenza delle cose temibili e delle cose non temibili non è allora il coraggio, essendo contraria all'ignoranza di esse?». Qui non volle più nemmeno annuire e restò in silenzio. Ed io: «Che c'è, Protagora: non rispondi né sì né no alla mia domanda?» «Continua da solo», disse. «Sì », dissi, «ma dopo averti fatto ancora una sola domanda, se cioè sei ancora del parere, come al principio della discussione, che esistano uomini in sommo grado ignoranti, eppure coraggiosissimi». «Ho l'impressione, o Socrate», rispose, «che tu ti accanisca a farmi rispondere. E allora ti faccio un favore e ti rispondo che, da quanto s'è convenuto, mi risulta che questo sia impossibile».

«Ma io», dissi, «non ti faccio tutte queste domande con altro scopo che quello di indagare come stiano le cose a proposito della virtù e che cosa mai sia in sé la virtù. So, infatti, che, fatta luce su questo punto, si chiarirebbe anche la questione su cui tu ed io abbiamo fatto ciascuno un gran parlare, io sostenendo che la virtù non è insegnabile, tu, invece, che è insegnabile. E sono convinto che l'esito dei nostri discorsi di poco fa, se potesse prendere aspetto umano, ci accuserebbe e si farebbe beffe di noi; e, se potesse parlare, immagino ci direbbe: "Siete ben strani, Socrate e Protagora: tu, Socrate, che nei tuoi ragionamenti di prima sostenevi che la virtù non è insegnabile, ora ti impegni a sostenere la tesi opposta, tentando di dimostrare che tutti i beni, giustizia, temperanza e coraggio, sono conoscenza, che è il modo migliore per far apparire insegnabile la virtù.

Perché se la virtù fosse altro dalla conoscenza, come Protagora tenta di dimostrare, sarebbe evidente che non si può insegnare. Ma se ora risultasse essere interamente costituita da conoscenza, come tu, Socrate, ti affanni a provare, sarebbe ben strano che non potesse essere insegnata.

Protagora, dal canto suo, che partiva dal presupposto che essa fosse insegnabile, ora, al contrario, pare ansioso di dimostrare che essa è tutto fuorché conoscenza; e, se così fosse, non risulterebbe affatto insegnabile". Ebbene, Protagora, vedendo tutto questo in tremendo scompiglio, ho un gran desiderio che si faccia chiarezza in queste questioni, e vorrei che, dopo averle esaminate, arrivassimo a capire che cosa sia la virtù, e che poi, di nuovo, tornassimo ad esaminare, a proposito di essa, se sia insegnabile o non lo sia, perché non capiti che l'Epimeteo di cui si parlava, ingannandoci, non ci mandi fuori strada anche nella nostra indagine, come già ci ha trascurati nella distribuzione, stando al tuo racconto. A dire il vero, anche nel mito Prometeo mi è piaciuto più di Epimeteo, ed io, facendo tesoro del suo caso e cercando di essere previdente (83) in tutti gli aspetti della mia vita, mi occupo appunto di tutte queste questioni; e, se tu volessi, come ti dissi anche all'inizio, sarei ben contento di esaminarle con te».

E Protagora: «Socrate, lodo il tuo zelo e la tua maniera di sviluppare il ragionamento. Non credo, neppure nel resto, di essere un cattivo uomo, ma penso di essere meno di ogni altro invidioso, visto che, anche di te, ho già detto a molti che, fra quelli in cui mi accade d'imbattermi, tu sei quello che io stimo di gran lunga di più, e in modo particolare rispetto ai tuoi coetanei. E dico, anzi, che non sarei affatto stupito se tu entrassi nel novero degli uomini illustri per sapienza. Ma di questo ne parleremo un'altra volta, quando vorrai. Ora è ormai tempo che mi metta a fare altre cose». «Ma via», dissi, «così bisogna fare, se così a te pare. Anche per me, del resto, è già da un pezzo ora di andare dove dissi che dovevo andare, ma ero rimasto per fare un piacere al bel Callia».

Detto e udito ciò, ce ne andammo.

NOTE:

1) Alcibiade visse all'incirca fra il 450 e il 404 a.C., anno in cui, dietro istigazione dei Trenta Tiranni e dello spartano Lisandro, venne assassinato in Frigia, dove si era rifugiato presso il satrapo Farnabazo dopo una vita avventurosa, costellata di mutamenti di alleanze, viaggi, successi e rovesci di fortuna. Fu figlio di Clinia, ateniese, della ricca e potente famiglia degli Eupatridi, e di Dinomache, appartenente anch'essa ad un'illustre stirpe ateniese, quella degli Alcmeonidi. Quando il padre morì , nel 446 a.C., Alcibiade, che all'epoca aveva circa quattro anni, venne affidato alla tutela di Pericle (cfr. Platone, Alcibiades 118c), con cui era imparentato. Secondo quanto attesta Platone nei dialoghi, frequentò a lungo Socrate: si veda soprattutto il Simposio (215a-219e).

2) Cfr. Omero, Iliade libro 24, verso 348; Odissea, libro 10, verso 279. La formula omerica «cui fiorisce la prima peluria, e la sua è la giovinezza più bella», da cui Platone prende gli elementi verbali senza citarla letteralmente, è riferita ad Ermes, che viene detto, nel primo caso, «simile ad un giovane principe», e, nel secondo, «simile ad un giovane eroe».

3) Alcibiade dovrebbe avere all'incirca 18 o 19 anni, se si suppone che l'azione del dialogo sia immaginata avvenire all'epoca del secondo viaggio di Protagora ad Atene, forse nel 432/31 a.C.

4) Cfr. Platone, Symposium 217a-219e: Alcibiade confessa di avere avuto una considerazione straordinaria del fiore della propria giovinezza e della propria bellezza e descrive i sentimenti che il fare sprezzante di Socrate agitava in lui: si sentiva rifiutato e tuttavia non sapeva privarsi della sua compagnia, e, dopo aver fallito con la propria avvenenza, si trovava privo di espedienti su come potesse conquistarlo.

5) Abdera è una città della Ionia, patria di Protagora, il cui nome verrà fatto fra poco. Di Abdera era anche Democrito.

6) Clinia, padre di Alcibiade (cfr. la nota 1), è menzionato da Erodoto, libro 8, 17, per essersi fatto onore nella battaglia navale dell'Artemisio contro i Persiani. E in battaglia morì , a Cheronea nel 446 a.C., quando Alcibiade aveva circa quattro anni.

7) Protagora nacque verso gli inizi del quinto secolo ad Abdera. Come tutti i sofisti viaggiò molto e fra il 450 e il 444 a.C. soggiornò una prima volta ad Atene, dove ebbe da Pericle l'incarico di preparare la legislazione per la nuova colonia panellenica di Turi; il secondo viaggio ad Atene è forse da collocare fra il 432 e il 431 a.C., epoca in cui probabilmente si immagina che avvenga l'azione del dialogo; stando a quel che Platone dice (Protagoras 349a), egli fu il primo a farsi pagare un compenso in denaro in cambio del sapere o di quell'arte "politica" di cui si professava maestro. Il fondamento del suo pensiero, espresso nello scritto La verità, viene citato dallo stesso Platone, Theaetetus 166d: «ciascuno di noi, in realtà, è misura delle cose che sono e di quelle che non sono, ma c'è una grande differenza tra l'uno e l'altro, proprio per questo, perché per uno esistono e appaiono certe cose, per un altro esistono e appaiono cose differenti».

Morì in naufragio nel 411 a.C., dopo aver lasciato Atene, dove era stato accusato di empietà per il suo libro Sugli dèi.

8) Personaggi altrimenti ignoti. Di Ippocrate figlio di Apollodoro sappiamo solo quello che di lui Platone dirà (316bc) per bocca di Socrate: ateniese, discendente di un casato potente e ricco, di buone doti naturali e ambizioso, e disposto a pagare qualsiasi prezzo purché Protagora gli trasmetta la propria sapienza. Sappiamo inoltre che all'epoca del primo soggiorno ad Atene di Protagora, fra il 450 e il 444 a.C., Ippocrate era, o si immagina che fosse, ancora un fanciullo (cfr. 310e).

9) Enoè era il nome di due demi attici, uno a nord e uno a nord-ovest di Atene. Qui si tratterà più probabilmente del secondo, essendo di lì più facile raggiungere la Beozia, probabile mèta di uno schiavo in fuga.

10) Sul tema dei sofisti "venditori" del loro sapere, cfr. più avanti 313c seguenti. e 328b-c.

11) Il primo viaggio di Protagora ad Atene è collocato intorno al 450-444 a.C.

12) Callia era uno dei più ricchi ateniesi, prima di dissipare il suo patrimonio col suo mecenatismo. La sua casa era albergo per i sofisti di passaggio, di cui egli era fanatico ammiratore. Cfr. la nota 66.

13) Ippocrate di Cos visse tra il 460 e il 370 a.C. circa. Discendeva dalla corporazione medica degli Asclepiadi di Cos. Sotto il suo nome è stata tramandata una raccolta di scritti medici in dialetto ionico, il Corpus Hippocraticum.

14) Policleto, nativo di Sicione ma chiamato argivo perché capo della scuola di scultura di Argo, visse ed operò nella seconda metà del quinto secolo. Ritraeva di preferenza giovani atleti, fra cui il Doriforo. il Diadumeno, l'Amazzone, ricostruendo il corpo umano sulla base di proporzioni matematico-geometriche che egli stesso fissò nel suo scritto sulla scultura, Il canone.

15) Il più celebre scultore greco. Operò intorno alla metà del quinto secolo, e fu amico di Pericle che gli commissionò le sculture per il Partenone, fra cui la statua crisoelefantina di Atena Parthenos, che nel 448 venne collocata nella cella grande del tempio. Nel 442 venne accusato dagli Ateniesi di essersi appropriato di una parte dell'oro destinato alla statua di Atena, e morì in carcere nel 431, vittima, come del resto anche Protagora e Anassagora, degli avversari politici di Pericle, che per colpire costui miravano a quelli della sua cerchia. Nel Menone (91d), per dare un'idea esagerata dei guadagni che Protagora traeva dall'arte sofistica, Platone fa dire a Socrate che Protagora, da solo, ha guadagnato più denaro da questa sapienza che non Fidia ed altri dieci scultori insieme.

16) Nel Sofista (223c-224e), Platone dimostra come l'«arte sofistica» si possa a ragione definire come il mestiere di compra e costruisce cognizioni e le scambia, da città a città, con denaro, traendo di che vivere da questa attività, e come questo ci autorizzi a chiamare mercante chi faccia di questo commercio il suo mestiere.

17) Ippia di Elide visse verso la fine del quinto secolo. Platone lo ritrae come un erudito che non perde occasione di sfoggiare il suo sapere enciclopedico (347a-b), e, facendolo zittire da Alcibiade, lascia intendere di non tenere in grande considerazione le sue disquisizioni. Vedi anche l'allusione di Protagora al tipo di insegnamento impartito da Ippia e dagli altri sofisti in 318e. Viaggiò molto ed ebbe un'intensa attività di poligrafo, letterato ed erudito. Platone lo rappresenta vanitoso e avido (cfr. Hippias maior 282d-e), presuntuoso esegeta di Omero (cfr. Hippia minor 364b-365c), e capace di fare di tutto. Sul paragone a Eracle, cfr. la nota 25.

18) Prodico di Ceo nacque fra il 470 e il 460 a.C. Fu ambasciatore in molte città, fra cui Atene, dove ottenne grande successo con le sue lezioni e, pare, ricavò favolose ricchezze (cfr. Platone, Hippias maior 282b-c). Scrisse le "Orai", che probabilmente contenevano l'apologo dì Eracle al bivio (riferito da Senofonte, Memorabilia libro 2, 1,20-34) sul tema moralistico delle due vie, la via della Mollezza, piana e piacevole, e la via della Virtù, segnata dal lavoro e dalla fatica (cfr. Esiodo, Opera et dies 286-92), e un trattato Sull'esattezza delle parole. Verrà rappresentato come un accanito censore dell'uso lessicale, che si fa scrupolo di precisare, ad ogni parola, il suo esatto significato (337a-c), e non resta per nulla soddisfatto da definizioni generali (358a). Socrate lo chiamerà ironicamente suo maestro (341a), e prenderà in giro il suo modo puntiglioso di fare sottilissime distinzioni semantiche, raccontando come Prodico lo rimproverava di usare a sproposito le parole (341a-b), e servendosi di lui per una assurda interpretazione della parola «difficile» in Simonide di Ceo, prontamente smascherata da Protagora (341b-d).

19) Paralo era fratello uterino di Callia. La madre di Callia, dopo essersi divisa da Ipponico, aveva sposato in seconde nozze Pericle, da cui ebbe i figli Paralo e Santippo, morti nella peste del 429 a.C. il fatto che Platone faccia figurare questi due personaggi fra gli ospiti di Callia in occasione del soggiorno ateniese dì Protagora lascia intendere che l'azione del dialogo era immaginata avvenire prima del 429 a.C., e che probabilmente va collocata nel 432/431 a.C., piuttosto che nel 423/422 a.C.

20) Carmide figlio di Glaucone era zio materno di Platone. Con il cugino Crizia aveva fatto parte dei trenta tiranni ed era morto nella battaglia di Munichia nel 403 a.C., nello scontro fra aristocratici e democratici. è il principale interlocutore nel dialogo omonimo.

21) Santippo era fratello di Paralo e fratello uterino di Callia (cfr. la nota 19).

22) Filippide figlio di Filomelo è un personaggio ignoto da altre fonti. L'unica informazione è questa che ci viene data da Platone, ossia che anch'egli era discepolo di Protagora.

23) Antimero di Mende è un personaggio altrimenti sconosciuto. Ambiva a diventare sofista di mestiere, secondo quanto ci viene detto qui da Platone.

24) Orfeo, mitico poeta della Tracia, figlio, secondo la leggenda, di Apollo e della Musa Calliope, col suo canto ammaliava e trascinava uomini, animali, piante e pietre. Nello Ione (533d seguenti) Socrate chiarisce al rapsodo Ione l'origine divina della forza della poesia: la Musa rende i poeti ispirati, e attraverso questi ispirati si crea una lunga catena di altri che sono invasati dal dio; così i poeti poetano o i rapsodi dicono belle cose intorno ai poeti non per arte o per conoscenza, ma per una forza divina che li possiede e che toglie loro il senno. Con questo parallelo, Platone intende dire che anche l'arte della persuasione di Protagora seduce le anime, e le trascina per effetto di incantesimo, privandole di senno.

25) Omero, Odyssea libro 11, verso 601. La formula «e dopo di lui conobbi» è usata da Omero per legare, nell'evocazione dei morti di Odisseo, l'apparizione di un'ombra all'altra: dopo Sisifo, che appare penare nell'inutile fatica di spingere un masso sulla cima di un colle, e rotolare ogni volta al piano senza poterla raggiungere, Odisseo riconosce l'ombra di Eracle. Platone, usando come nesso fra un personaggio e l'altro questa formula omerica in questa forma (la stessa formula si trova, scomposta, anche in Odyssea libro 11, verso 572), evidentemente vuole stabilire un parallelo fra Protagora e Sisifo e fra Ippia ed Eracle, suggerendo così le caratteristiche che li accomunerebbero: la presunzione di Protagora e di Sisifo (cfr. 348e-349a, sulla fiducia che Protagora ha in se stesso), e la pretesa di onniscienza e di saper fare e parlare di tutto di Ippia di Elide, paragonata alla sconfinata forza di Eracle (su Ippia, cfr. la nota 17).

26) Erissimaco, come il padre Acumeno, fu un celebre medico. Figura come interlocutore nel Simposio (185d), ed è nominato, insieme al padre Acumeno in Phaedrus 268a.

27) Fedro del demo di Mirrinunte è il personaggio protagonista dell'omonimo dialogo. Nel Fedro (227a), egli si dice amico e medico Acumeno, e annuncia di voler andare a passeggiare per le strade all'aperto perché così gli ha consigliato Acumeno. Compare anche nel Simposio (176d seguenti, dove dice di esser solito dare retta, in fatto di medicina. a Erissimaco figlio di Acumeno, e 178a seguenti, dove pronuncia un elogio di Eros.

28) Androne di Androzione è menzionato anche nel Gorgia (487c), come uno dei tre «compagni di sapienza» di Callicle. Prese parte alla rivolta oligarchica del 411 a.C.

29) Cfr. Omero, Odyssea libro 11, verso 583 e seguenti. Il verso omerico è: «e anche Tantalo vidi, che pene atroci pativa»: Tantalo è ritto in piedi in uno stagno, assetato, e non può bere di quell'acqua, che sparisce, inghiottita, appena egli si piega per prenderne; e, sulla sua testa, alberi piegano i loro rami carichi di frutti, ma il vento li alza appena Tantalo si allunga per prenderne.

30) Su Prodico di Ceo, cfr. la nota 18.

31) Pausania del Ceramico è un retore. Nel Simposio (180c seguenti), dopo l'elogio di Eros fatto da Fedro, Platone gli fa esprimere alcune delle idee allora in voga sulla questione d'amore: distinzione fra Eros celeste ed Eros volgare; solo l'Eros celeste è degno dì essere elogiato, eccetera.

32) Agatone fu un poeta tragico, di cui si sono conservati solo pochi frammenti. Nacque intorno al 447 a.C. in casa sua, per festeggiare la vittoria ottenuta con la sua prima tragedia nelle Lenee del 416 a.C., si svolge l'azione del Simposio. In questo dialogo (193b-c) compare un'altra allusione all'amicizia intima fra Agatone e Pausania.

33) Adimanto figlio di Cepide non è noto da altre fonti. Su Adimanto figlio di Leucolofide, sappiamo da Senofonte, Historia Graeca libro 1, 4, 21; libro 2, 1, 30. che fu stratega alla battaglia di Egospotami, e fu processato dagli Ateniesi per tradimento.

34) Su Alcibiade, cfr. la nota 1.

35) Crizia figlio di Callescro, di famiglia aristocratica, era cugino di Perictione, madre di Platone. Divenne capo dei trenta tiranni, e col cugino Carmide, zio di Platone (cfr. la nota 20), morì nella battaglia di Munichia nel 403 a.C.. combattendo contro i democratici insorti. Scrisse opere in versi e in prosa. In Filostrato, Vitae sophistarum libro 1,16, si legge di Crizia che egli parteggiò per gli Spartani, minacciando guerra da parte degli Spartani a chi avesse dato asilo a coloro che egli aveva esiliato da Atene, e collaborando con gli Spartani nel disegno di fare dell'Attica terra da pascolo per le pecore. Il celebre opuscolo antidemocratico "Athenaíon politeia" giunto a noi tra le opere di Senofonte, ma certamente non scritto da lui, potrebbe essere opera di Crizia.

36) Nell'interpretaziOne di Protagora, il "sofista" è colui che sa rendere gli uomini migliori. Omero, dunque, facendo dei suoi eroi esempi di virtù, avrebbe i requisiti per essere definito sofista, nel senso appunto di "colui che educa alla virtù".

37) Nelle Opere e i giorni anche Esiodo dava precetti di vita morale, servendosi dunque, a giudizio di Protagora, della poesia come paravento per mascherare il vero scopo che gli stava a cuore, vale a dire educare alla virtù, e quindi praticare l'arte sofistica nel senso in cui Protagora l'intendeva.

38) Simonide di Ceo nacque intorno alla metà del quinto secolo. Fu poeta corale, di inni, canzoni conviviali (scolia), canti funebri, epitafi, elegie, ma soprattutto di epinici. e trascorse la maggior parte della sua vita alla corte di tiranni: presso Ipparco ad Atene, presso gli Scopadi in Tessaglia, presso gli Alevadi a Larissa e alla corte di Ierone di Siracusa. in Diodoro Siculo, libro 11, 11,4-12,1, ci è conservato un frammento dell'epitafio di Simonide per i caduti spartani alle Termopili. Il tema della virtù, di come essa sia accessibile a pochi, e di come sia impossibile trovare un uomo senza difetto, è ricorrente nella sua opera. Anch'egli, dunque, è "sofista" nel senso che intende Protagora ("maestro di virtù"). Più avanti, su invito di Protagora (339a seguenti), verrà analizzato il suo celebre carme A Scopa.

39) Su Orfeo, cfr. la nota 24.

40) Museo, mitico discepolo di Orfeo, autore, secondo la tradizione, di poemi cosmogonici e di inni sacri.

41) Icco di Taranto fu un famoso atleta, vincitore della gara del pentathlon ad Olimpia nel 470 a.C. Platone lo cita (Leges libro 8, 840a) dicendo che egli, in vista delle gare, per amore della vittoria, sapeva rinunciare ai piaceri del sesso, e che sue erano la virtù della temperanza e del coraggio. Anche la ginnastica contribuiva alla paideia (cfr. Protagoras 312b), l'educazione spirituale del giovane di buone speranze, e dal momento che anch'essa educava alla virtù senza professarlo apertamente, Protagora la considera "arte sofistica" camuffata.

42) Erodico, nativo di Megara, era detto di Selimbria per essersi trasferito a Selimbria. Lasciata l'atletica, fu maestro di ginnastica. è nominato nella Repubblica (libro 3, 406a-b), dove si racconta che, colpito da una malattia mortale, lasciò ogni altro interesse per seguire attimo per attimo il decorso della malattia, senza essere capace di guarirsi, e che così , vivendo solo per curarsi, tirò per le lunghe la sua morte, imprigionato nella sua "dieta", si tormentava se anche di poco deviava da essa, e giunse ad un'età avanzata grazie alla moderna terapia di associare la ginnastica alla medicina. E qui il caso di Erodico è citato in polemica contro il malcostume dei ricchi di curarsi con diete prolungate, prendendosi il lusso di giacere a letto e diventando così un peso per la società, e precisando che ciò non ha nulla ha che fare con l'arte medica di Asclepio.

43) Agatocle fu maestro di musica di Damone (cfr. Laches 180c-d) che a sua volta fu maestro di Pericle (cfr. Alcibiades 118c). il suo discepolo viene citato nella Repubblica (libro 4, 424c), a proposito della necessità di mantenere immutata l'educazione musicale, e di non introdurre nuovi generi musicali, perché questo scuoterebbe i fondamenti su cui poggia la costituzione dello Stato. Nella Repubblica (libro 3, 400b-e), Socrate si richiama all'autorità di Damone per giudicare quali siano i ritmi che traducono la volgarità, la violenza, la pazzia e ogni altro difetto, e quali siano invece i ritmi che traducono le virtù opposte. è dunque chiara la ragione per cui Protagora chiama "sofista" il suo maestro.

44) Pitoclide di Ceo è citato, con Damone, come maestro di musica di Pericle, nell'Alcibiade secondo (118c).

45) Zeusippo di Eraclea è il famoso pittore del quinto secolo a.C., citato con il nome di Zeusi anche nel Gorgia (453c-d), come pittore dì figure vive. Cfr. Aristotele, Poetica 1461b 13.

46) Ortagora di Tebe fu un celebre flautista, maestro di flauto di Epaminonda.

47) Letteralmente "eúbolia" significa 'capacità di consigliarsi bene', 'di prendere giuste decisioni'.

48) Il Consiglio, il più importante organo politico di Atene, era composto di cinquecento membri, cinquanta per ognuna delle dieci tribù. Era presieduto, a turno, dai cinquanta membri di una delle dieci tribù, per un uguale periodo di tempo di 35/36 giorni, secondo un ordine stabilito a sorte. Questi cinquanta membri, per il periodo che presiedevano il Consiglio, si chiamavano Pritani, e Pritania era la carica che essi ricoprivano. Gli arcieri di cui si parla erano guardie al servizio dei Pritani.

49) Si tratta di Paralo e Santippo; cfr. la nota 19. Nell'Alcibiade secondo (118d-e) Socrate chiede ad Alcibiade chi sia stato reso saggio da Pericle, a partire dai suoi due figli. e Alcibiade, cogliendo l'allusione, risponde lasciando intendere che Paralo e Santippo erano considerati due sciocchi.

50) Clinia era fratello minore di Alcibiade, affidato anch'egli, dopo la morte del padre Clinia, alla tutela di Pericle. Nell'Alcibiade secondo (118e), Alcibiade chiama il fratello «pazzo», e fa capire che neppure a costui Pericle seppe trasmettere la propria sapienza.

51) Il nome Arifrone significa 'molto saggio': fu il nome del nonno e del fratello di Pericle.

52) Nel mito Prometeo è un gigante figlio di Giapeto e dell'oceanina Climene. in Esiodo, Theogonia 507 seguenti, è detto versatile e astuto, ingannò Zeus una prima volta, quando, in occasione di una contesa fra il re dell'Olimpo e i mortali, spartì un bue con arte ingannevole, nascondendo le carni e le interiora in una pelle, nel ventre del bue, camuffando le ossa nel grasso, e invitando Zeus a scegliere. Questi, per vendetta, punì Prometeo legandolo ad una colonna e mandando un'aquila a mangiargli il fegato (cfr. il Prometeo eschileo), e tolse ai mortali il fuoco. Prometeo venne liberato da Eracle, e tornò ad ingannare Zeus rubando il fuoco e facendone dono agli uomini. La caratteristica di Prometeo è quella di «contendere contro i disegni di Zeus» (cfr. 5, 534). Nelle Opere e i giorni (versi, 42-57), Esiodo dice che, se Prometeo non avesse violato il divieto di Zeus, rubandogli il fuoco, l'uomo non sarebbe condannato al lavoro e potrebbe senza fatica raccogliere in un solo giorno di che vivere un anno. Il nome Prometeo significa 'colui che pensa prima', il 'previdente'. Il fratello Epimeteo ('colui che pensa dopo', 'l'imprevidente'), già in Theogonia 511-513, è detto «malaccorto», per aver accolto in casa il malefico dono di Zeus, Pandora. Si accorse del malanno che aveva, solo dopo averlo accettato (cfr. Opera et dies 83-89). Il mito costruito da Platone si incentra sul dono del fuoco e della competenza artigiana, sugli effetti che questo dono ebbe, e, soprattutto, sugli effetti che questo dono non ebbe: non bastò a rendere gli uomini capaci di vita associata, e per questo fu necessaria l'arte politica.

53) Ferecrate era un poeta comico ateniese, contemporaneo di Aristofane. La sua commedia I selvaggi, a cui qui si allude, doveva essere la satira della teoria di qualche sofista, allora in voga, che sosteneva la superiorità dello stato di natura rispetto allo stato di diritto. I misantropi di cui si parla, disgustati dalla vita civile, si rifugiarono fra gente selvaggia che fece loro rimpiangere la vita nella società e nelle leggi. La commedia venne rappresentata nel 421/420 a.C., e se si colloca l'azione del Protagora nel 432/31 a.C., bisogna considerare questa citazione un anacronismo. D'altra parte, se si immagina che il dialogo avesse luogo nel 423/422 a.C., risulta anacronistica la presenza dei figli di Pericle, Paralo e Santippo, morti nella peste del 429 a.C. (cfr. la nota 19).

54) Il Leneo era il 'recinto del torchio' presso l'Acropoli di Atene, la piazza dove, nel mese di Leneone (dal 15 gennaio al 15 febbraio), si celebravano le Lenee, feste in onore di Dioniso Leneo ('protettore del torchio'), con rappresentazioni teatrali.

55) Euribate e Frinonda erano due proverbiali malfattori (cfr. Aristofane, Thesmoforiazusae 861).

56) Su Policleto, cfr. la nota 14.

57) Su Paralo e Santippo, cfr. la nota 19.

58) Per questa polemica di Platone verso la scrittura - più precisamente: la scrittura filosofica - e il privilegio da lui riconosciuto allo sviluppo della dialettica orale, cfr. Phaedrus 274b-278e.

59) Crisone di Imera era un famoso atleta, citato, con Icco di Taranto e altri atleti, nelle Leggi (libro 8, 840a-b; cfr. la nota 41), come esempio di temperanza nell'astenersi dai piaceri sessuali per amore di una vittoria. Vinse gare di corsa alle Olimpiadi del 448,444 e 440 a.C.

60) Il dolicodromo è l'atleta che gareggia in una corsa di resistenza, che consisteva nel percorrere dodici diauli, vale a dire dodici volte la doppia lunghezza dello stadio, dal traguardo alla meta e, di ritorno, dalla mèta al traguardo (cfr. Platone, Leges libro 7, 822a; libro 8, 833b).

61) In greco "emerodromos" era un corriere che doveva percorrere in un giorno grandi distanze.

62) Su Alcibiade e il suo atteggiamento verso Socrate, cfr. le note 1-4.

63) Su Crizia, cfr. la nota 35.

64) Su Prodico, e le sue ricerche di sinonimica, cfr. la nota 18.

65) Su Ippia e sulla sua "sapienza", cfr. la nota 17.

66) Il Pritaneo anticamente era la sede dei Pritani (cfr. la nota 48). Si trattava di un edificio pubblico che sorgeva ai piedi dell'Acropoli, dove venivano mantenuti a spese pubbliche i cittadini da cui lo Stato aveva ricevuto particolari benefici, atleti che con le loro vittorie avevano portato lustro alla città, e certi ospiti illustri. In Platone, Apologia Socratis 36d, Socrate sostiene di essere benefattore della città, e di meritare, per questo e per la propria povertà, di essere nutrito a spese pubbliche nel Pritaneo. In questa similitudine messa in bocca ad Ippia, potrebbe esserci, oltre al senso apparente (l'enfatico elogio che Ippia fa della città di Atene e della casa di Callia), il doppio senso comico che fa apparire Atene come il Paese della Cuccagna dei sofisti, e la casa di Callia come l'albergo dove questi "benefattori" alloggiano e pasteggiano a spese del padrone. Del resto, sulla generosità e sul mecenatismo di Callia si è già ironizzato sopra (cfr. 315d), dove si diceva che Callia, per far posto ai sofisti, aveva sgombrato persino la dispensa. Su Callia, cfr. la nota 12.

67) Su Simonide, cfr. la nota 38.

68) Scopa figlio di Creonte era tiranno di Crannone in Tessaglia. Simonide fu accolto alla corte degli Scopadi dopo l'assassinio di Ipparco, suo protettore ad Atene, nel 514 a.C.

69) Si tratta del carme A Scopa, frammento 542. Page.

70) Pittaco di Mitilene visse tra la fine del settimo e l'inizio del sesto secolo. È tradizionalmente annoverato fra i Sette Saggi.

71) Cfr. Omero, Ilias, libro 21, verso 308. Lo Scamandro, adirato con Achille perché massacra i Troiani in fuga nelle sue correnti e le riempie di cadaveri, cerca di travolgere l'eroe con la piena delle sue acque; ma Achille, soccorso da Atena, rimonta la corrente, che non riesce più a trattenerlo. Lo Scamandro allora chiama in aiuto il fratello Simoenta, perché presto Achille espugnerà la rocca di Priamo. Socrate vuole impedire che Protagora=Achille espugni Simonide=roccaforte della sapienza morale.

72) La citazione riprende Esiodo, Opera et dies 289-92, variandone leggermente la sintassi (dal discorso diretto è volta al discorso indiretto e qualche congiunzione è cambiata), sostituendo l'originale «immortali» con «dèi», e saltando parte del verso 290 e parte del verso 291, la frase che diceva: «lungo e ripido è il sentiero che porta ad essa, e aspro all'inizio».

73) Talete di Mileto, nato probabilmente intorno al 640 a.C., "filosofo" fu il primo a cercare nella natura, e non nella mitologia, un "arché", ossia un'"origine" delle cose e un 'principio' che spiegasse il reale, e lo individuò nell'acqua. Su Talete circolavano aneddoti contraddittori, alcuni che lo presentano dedito alla vita contemplativa, come quelto riportato da Platone (Theaetetus 174a), dove si dice che Talete, mentre studiava gli astri e guardava in alto, cadde in un pozzo, e quelli che lo presentano invece come uomo di grande senso pratico, capace di trarre lauti guadagni dal commercio. La tradizione gli attribuisce norme morali espresse in forma di brevi sentenze.

74) Su Pittaco di Mitilene, cfr. la nota 70.

75) Biante di Priene è citato con ammirazione da Eraclito di Efeso nel frammento 39 Diels-Kranz. Diogene Laerzio, libro 1, 82-88, ha raccolto aneddoti sul suo conto e detti memorabili a lui attribuiti.

76) Solone fu "arconte" ad Atene nel 594/593 a.C., e legislatore grazie all'eccezionale potere che gli venne attribuito. Diventato arbitro in seguito a una guerra civile fra nobili e popolo, «liberò il popolo» ordinando la "seisáctheia", cioè lo 'scuotimento dei debiti', e vietando i prestiti su pegno della persona, e stabilì una costituzione, in Aristotele, "Athenaíon politeía" 5-7, sono conservati frammenti di Solone. è celebre la sua elegia Alle Muse, ricca di temi esiodei, quali l'ineluttabilità della vendetta di Zeus, gli inutili affanni degli uomini e le loro vane Speranze.

77) Di Cleobulo di Lindo si conservano aneddoti e detti memorabili in Diogene Laerzio, libri 1, 89-93.

78) Nella lista dei Sette Saggi al posto di Misone di Chene di solito si trova Periandro di Corinto. Di Misone parla Diogene Laerzio, libro 1, 106-108.

79) Chilone di Sparta è anch'egli tradizionalmente annoverato fra i Sette Sapienti. Viene menzionato in Diogene Laerzio, libro 1, 68-73.

80) Cfr. Omero, Ilias, libro 10, verso 224. A parlare così è Diomede, che si offre volontario ad entrare nel campo dei nemici per indagare che cosa i Troiani meditavano fra loro, Il piano degli Achei era quello di informarsi, di cercare di sapere, che è appunto il fine a cui mira la ricerca di Socrate.

81) Cfr. Omero, Ilias, libro 10, verso 225. Il seguito in Omero è:«la mente tuttavia è più corta, il pensiero è più debole».

82) La pelta era uno scudo leggero. Arma tipica dei Traci, fu poi adottata da tutti i Greci.

83) Socrate gioca sul significato del nome Prometeo, che etimologicamente significa 'colui che pensa prima', il 'previdente'. Su Prometeo ed Epimeteo, cfr. la nota 52.

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