Carcere, tra ipocrisia e umanità.

San Vittore 

Fino a qualche anno fa pensavo che il carcere potesse essere un luogo come un altro, forse noioso, con molta routine dove si cercava di passare qualche anno per gli sbaglio che si erano commessi fuori. Pensavo che fosse un luogo giusto, dove la giustizia e l'ordine regnasse, dove i detenuti venivano tenuti in riga dalla mano forte dello Stato.
La prima volta che visitai un carcere dovetti cambiare radicalmente idea. 


Ricordo quella giornata come se fosse ieri. Era una caldo venerdì di maggio, poco ventoso, ma l'afa incominciava a farsi sentire in tutta Milano. Dopo settimane di attesa ero riuscito ad entrare nell'ultima delle liste di studenti dell'università Statale di Milano. A quell'epoca ero frequentante di diritto penitenziario e non vedevo l'ora di entrare dentro un vero carcere, anzi per quelli di Milano il Carcere: San Vittore. Camminavo per via Papiniano dopo aver fatto un viaggio lungo ed estenuante in metropolitana, scendendo a Sant'Agostino.
Mi sentivo emozionato, capivo che era un'esperienza che mi sarei ricordato per tutta la vita, sapevo che quei momenti sarebbero rimasti impressi nella mia mente, ma non pensavo anche nel mio cuore. Molte delle persone che vivono in questo paese, l'Italia, probabilmente non immaginavano e ancora oggi non immaginano cosa si possa celare in un carcere. Camminavo, ero in netto anticipo di mezz'ora dal luogo di incontro dove due decine di studenti della mia classe si sarebbero ritrovati insieme a me per poi entrare con un'assistente del professore di penitenziario in veste di accompagnatrice.


Mentre aspettavo mi sedetti su di una panchina verde ed osservavo l'entrata del carcere. Le mura erano molto alte, alcune ispirate ad architetture medioevali(solo una minima parte), di un colore grigio cemento alternato a parti rosse chiare, la struttura era molto vecchia, fatiscente e si notava persino dall'esterno, presagio di quello che dentro avrei trovato. Dall'entrata uscivano persone di vario genere, si andava dagli avvocati incravattati con la borsa di pelle in mano, ai poliziotti in divisa, poliziotti del carcere, magistrati, dirigenti vari, molti dall'accento rivelavano la propria origine meridionale. Parlavano di interrogati, di visite dei detenuti, alcuni dei quali si distinguevano da tutte le altre persone. Quando uscivano si riconoscevano istantaneamente perchè avevano lo sguardo basso, portavano con se piccole buste con i proprio effetti personali, magari stavano andando a lavoro, oppure a casa o da qualche parte cercando di dimenticare che tra poche ore sarebbero dovuti ritornare dentro. Erano pochi, molto fortunati, almeno loro potevano assaporare l'aria di Milano che per quanto inquinata non aveva barriere, potevano camminare dove volevano(o quasi, se non dovevano seguire certi divieti imposti a loro dalle autorità), sapevano di che colore era il sole.

san vittore 2
Arrivò l'assistente, era una donna giovane dai capelli corti castani con un sorriso gentile ed il tono di voce pacato. Fece l'appello per sapere se fossimo tutti presenti, alcuni non erano ancora arrivati così attendemmo una decina di minuti, nel mentre riponemmo tutti i cellulari e apparecchi elettronici dentro una borsa che a breve sarebbe stata data in custodia ad un agente. Giuste precauzioni. Necessarie. Arrivano altri due studenti e così potemmo entrare tutti insieme.


Varcata la soglia, mi trovai in una stanza dal soffitto molto alto, quattro colonne si stanziavano, il pavimento era di pietra, levigato visto tutti i piedi che avevano calpestato quel luogo. Vicino alla porta il gabbiotto con l'agente di turno, alto e fiero, con stivali neri ai piedi, divisa della polizia carceraria di un colore blu scuro. Era una sorta di vestibolo enorme quello in cui mi trovavo. Mi fermai insieme a tutta la compagnia, mi toccai il viso ricordandomi che mi ero fatto la barba appositamente per quel giorno. Si presentò davanti a noi un brigadiere dalla statura bassa, con il viso rossastro, ma sorridente. Ci salutò allegramente e ci disse di consegnarci la borsa con tutti gli apparecchi elettronici, dopo di che ci avvisò che ci avrebbero controllato le borse(come negli aeroporti) e il corpo.
Uno ad uno entrammo nel vero carcere, era un crocevia di persone che si spostavano, agenti di polizia più che altro. Alla mia destra c'era un parcheggio, a sinistra invece un cancello metallico, credo un passo carraio, davanti a me il detector per controllare le borse e poi l'entrata che introduceva al centro della struttura. Dietro di me ancora un gabbiotto e una scrivania dove erano seduti alcuni poliziotti che rispondevano al telefono, parlavano fra di loro e ci dirigevano per farci passare per i controlli uno ad uno.

Carcere

Dopo i controlli arrivò la nostra guida, un sovraintendente che in pratica era un brigadiere della polizia penitenziaria. Era poco più alto di me, il viso era rasato, ben curato, i capelli tirati un po all'indietro con del gel, lo sguardo rassicurante. Era di origine sarda, come me, nonostante il suo accento fosse poco marcato io lo riconobbi subito. Si presentò, si regalò un cordiale sorriso per poi farci strada dentro San Vittore. I miei compagni non si aspettavano dei poliziotti così, forse pensavano che fossero tutti sempre arrabbiati e con il manganello in mano pronto a fracassare teste. Io mi sorpresi poco perchè in famiglia, sia mio padre che moltissimi miei zii erano poliziotti in pensione e sapevo quindi che tipo di ambito fosse quello.
Varcammo una piccola porticina verde di metallo pesante, forse vecchia quanto il carcere, quando passammo tutti ci chiusero dentro a chiave, provocando alcuni cigolii e stridii. Arrivammo nel centro del carcere e qui mi stupii di vedere con i miei occhi che vi era un altare e poco più dietro una sorta di aiuola senza fiori con una piccola statua di gesso di San Vittore con alcune scritte in latino. Il sovraintendente ci spiegò che il carcere fu costruito pochi anni dopo l'unità d'Italia ed il luogo in ci ci trovavamo in quel momento faceva parte del vecchio convento di San Vittore. Sopra di me una cupola raffigurava scene bibliche immerse in un cielo blu dipinto ad affresco, ma ormai deteriorato in maniera considerevole, un vero peccato.

 Alla mia sinistra c'era una scrivania con tre poliziotti ed una donna, credo fosse una persona di un certo spessore visto che gli altri parlavano con lei mostrando molto rispetto. Era una donna dai capelli scuri, con sguardo sicuro ed un sorriso seducente, era vestita con un completo nero, molto diplomatica, ma dai suoi occhi traspariva una bella luce. In quel momento mi venne da sorridere spontaneamente pensando ai poliziotti che erano li, fortunati a fare compagnia ad una donna del genere.

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