Carcere, tra ipocrisia e umanità. - Carcere3

 

Da lì si vedeva il cortile di cemento dove alcuni detenuti giocavano a calcio, altri invece stavano ai lati incitando gli altri o parlando fra loro. Una torre di vedetta che a per puro miracolo stava ancora in piedi visto che era totalmente diroccata e fatiscente. Poco più in là le mura di San Vittore ed oltre la città. La libertà. Un uomo rinchiuso che vede il mondo diviso da sbarre di colore verde verniciate male ed arrugginite può pensare che al di là del muro vi sia la libertà. È vero che finchè una persona non perde ciò che ha di più caro non si rende conto di quanto possa essere fortunato. Noi che siamo "al di là del muro" siamo i fortunati e nelle nostre disgrazie e disavventure non riusciamo a capire di quante cose possiamo fare, di quanto abbiamo a disposizione, di come si possa cambiare la nostra vita se solo lo volessimo. Loro no. Loro, i reclusi devono stare alle regole, perchè chi sgarra, chi sbaglia, fa si che l'intero carcere ne risenti e venga punito. Così infatti accadde qualche anno fa quando le celle potevano restare aperte solo fino alle 16.30 perchè in precedenza si era combinato un mezzo caos per chi sa quale motivo. Così vanno le cose in carcere, questo è un mondo, anzi un universo a parte e le regole se sei un detenuto non le fai te, le fa lo Stato. Già lo Stato, quell'entità che dal punto di vista del carcerato lo si vede poche volte a San Vittore. Lo si incontra per la prima volta quando si è arrestati, poi quando si è portati dentro la propria cella, con persone mai viste prima, di culture e paesi differenti, che a pensarci bene hanno ben poco da spartire e condividere con te all'inizio. Poi con il passare del tempo ci si tempra, si stringono i denti perchè quei giorni passano che tu lo voglia o no, perchè il sole tanto dovrà tramontare ed ancora un giorno potrà essere segnato come un tacca, si avvicinerà il giorno della scarcerazione ed allora tutto non sarà stato vano. Ma da qui ad uscire ce ne vuole e loro lo sanno.

cella

 

Tutti nessuno escluso hanno questa croce da portarsi sulla schiena e come piccoli Cristi si muovono e vivono nel carcere in attesa di una decisione del mostro Stato, di quella belva che gli ha lasciati dentro e non si degna a farsi sentire più, perchè il popolo lo vuole. Il popolo ignorante e freddo vuole la sofferenza, vuole che chi ha commesso del male o degli sbagli debba pagare, come è giusto che sia. Ma vuole questo senza alcun tipo di costo, vuole che chi sia dentro debba soffrire e basta, poco importa se capisce l'errore, poco importa il pentimento. A noi che siamo fuori basta che una persone resti per molti anni dentro, che non si senta più parlare di lei, che si butti la chiave e che marcisca dentro per l'eternità fino al giorno della sua morte a cui nessuno parteciperà. Ecco che il popolo diventa allora lo Stato, freddo e spietato, come un costrutto fatto di metallo ed odio, dove la giustizia soppianta ciò che rendeva prima uomini gli umani: il perdono. A chi mi dice, come puoi perdonare una persona che ha ucciso? Chi potrebbe mai farlo? Chi ha tanto coraggio o saggezza per questo gesto? Io rispondo sempre che chi pone questo tipo di domanda dovrebbe passare un solo giorno in carcere. La risposta verrebbe da se. Non sto dicendo che chi uccide non debba essere punito anzi, è giusto e legittimo che le vittime ed il popolo in generale chiedano giustizia, ma che questa sia equa e proporzionata e soprattutto una persona non debba rispondere di inerzie ed inottemperanze degli altri.

Perchè se San Vittore e molti altri carcere si trovano in questo stato disastrato è colpa nostra. Qui però non c'è giustizia, perchè chi è rimasto con le mani in mano e poteva fare qualcosa per le ristrutturazioni, per rendere agibile i vari bracci non lo ha fatto, chi non ha pagato le tasse per i servizi, non si ricorda che quel denaro serve a sostentare delle persone che vivono e scontano la propria pena in carcere. Per chi sta fuori non c'è giustizia. Questo venir meno delle istituzioni nei momenti difficili, questa è la vera disgrazia. Dove si trova lo Stato quando decina di detenuti di suicidano quasi quotidianamente nelle nostre carceri pagate con i nostri soldi? Dove si trova lo Stato che dovrebbe salvaguardare i diritti fondamentali degli uomini, per cui i nostri avi hanno dato sudore e sangue ed ancora reclamano la giusta ricompensa per ciò che hanno compiuto: democrazia. Come è possibile che in uno Stato civile e democratico come quello italiano sia ancora possibile nel 2012 uno stato delle carceri di questo genere? A volte mi vergogno di essere italiano specie per queste cose, che fanno più male di una coltellata al cuore. Non ci si sorprenda se le persone si suicidano davanti a questo disagio, ci si sorprenda se lo Stato non fa nulla e rimane indifferente di fronte alla richiesta umana di questi soggetti. A volte però sono fortemente orgoglioso di essere italiano, perchè vedo che pure nel buio e nella tragicità del carcere vi è ancora una speranza, piccola, ma che non vacilla e cha da vita a qualcosa di meraviglioso.

Carcere3

Il nostro brigadiere infatti e come lui molti altri fa parte di quella parte di Stato che rende grande il paese. Un poliziotto, ma anche tutto il personale del carcere dal direttore fino al più basso in scala gerarchica è fondamentale. Spesso chi è a contatto quotidianamente con i detenuti diventa loro padre, loro confessore, loro fratello. Una spalla su cui piangere nei momenti difficili non dovrebbe essere negata a nessuno, nemmeno a loro. Ed ecco dunque l'umanità, in questo luogo dove nulla potrebbe far pensare che possa ancora esistere, dove in un mondo i media e molti altri raffigurano le forze dell'ordine come dei robot che sanno solo obbedire agli ordini dei superiori, dove uccidono in carcere per puro divertimento sadico, dove adorano prendere a manganellate i manifestanti che siano giovani adolescenti indottrinati o vecchi pensionati che vogliono un pezzo di pane. No, qui è diverso. Qui ho visto con i miei occhi e toccato con mano quanto l'altra parte della medaglia sia più forte, quanto l'aiutarsi a vicenda possa essere utile in un posto come il carcere. Loro sono lì, davanti, sul fronte del limite della società e come guardiani della sicurezza porgono la mano a chi la richiede, sanno che loro sono l'unica protezione per la civiltà, la società buona e non possono retrocedere. Fieri del loro lavoro per quanto umile possa essere, si sente che sono orgogliosi di ciò che fanno e quando sentono notizie di colleghi che hanno dimenticato chi sono ed hanno commesso la peggiore cosa che si possa fare, come l'uccidere un detenuto in una cella a suon di botte e calci, si rendono conto che la loro posizione subisce un forte contra colpo, che la loro divisa è insanguinata e nonostante tutto devono stare lì, non possono andarsene, la fuga non è un opzione. Diventa per loro un dovere non solo civico, ma umano, far si che il carcere funzioni secondo le regole. Questo molti detenuti lo capiscono, specie quelli del braccio tre che io ho visitato e di cui porterò le loro parole e sguardi nel mio cuore come lettore incandescenti uscite dalla fornace ed impresse sulla mia persona.

Aggiungi commento


Codice di sicurezza
Aggiorna


Abbiamo 56 visitatori e nessun utente online