Carcere, tra ipocrisia e umanità. - Carcere4


Quella finestra così piccola che a mala pena riusciva a far passare uno spiraglio di luce, su cui nessun detenuto poteva affacciarsi, mi spiegava il brigadiere è l'unico modo vero per ricordarsi da dove vengono. Non possono salutare, né sorridere alle persone che vedono camminare lungo i marciapiedi, devono rimane impassibili, non possono comunicare con chi è fuori, questo per ovvie ragioni di sicurezza del carcere e non solo. Immaginate se un mafioso riuscisse a comunicare con un'altra persona dal di fuori attraverso la propria cella ed a dare direttive. Immaginate però se voi foste in quella cella e da quella finestra vedeste vostra madre o padre o una persona che vi è cara. Dentro di voi la vorreste salutare, anche con un solo gesto del capo, ma non potete. Riuscireste a resistere? A voi la risposta.
Dopo la visita al braccio tre di San Vittore ci spostammo al braccio sei. Lì le celle sono tutte chiuse, i soggetti detenuti sono tra i più pericolosi per via dei reati che hanno commesso, si va dallo stupro, all'omicidio. L'atmosfera appena si varca la soglia del bracco sei cambia radicalmente, non ci sono persone che sorridono, i secondini(come al solito troppo pochi) sono vigli ed all'allerta, è come entrare dentro un girone dell'inferno. Anche l'aria è più calda, dalle piccole finestre delle entrate delle celle sbucano visi di uomini arrabbiati, dentro i loro occhi l'odio è profondo, tutta un'altra musica rispetto a prima. Qui fortunatamente io ed i miei compagni eravamo solo di passaggio, l'astio che queste persone avevano nei nostri confronti era forte, era palpabile nell'aria, imprecavano, ci scrutavano, specie le ragazze e di questo io me ne accorsi. Molti erano violentatori, per loro l'umanità non poteva esserci. Il perdono delle vittime? Forse mai, già che molte spesso sono passate a miglior vita per colpa dei loro aguzzini che dopo aver infierito sui loro corpi le hanno uccise.

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Animali in gabbia? No. Gli animali non provano odio, sono solo aggressivi. Percepivo dalle parole dei detenuti, gridate all'aria nella nostra direzione, scherzo e violenza, nessun segno di pentimento per quello che avevano commesso. Per loro quel carcere era l'ideale, coltivare il loro risentimento nei confronti della società, un terreno fertile che mettevo a dura prova i loro nervi, consapevoli che anche loro sarebbero usciti da lì e che probabilmente si sarebbero sfogati nuovamente contro vittime indifese. La frustrazione era la loro malattia, infatti se queste persone in futuro non capiranno che hanno sbagliato è facile che il carcere avrà avuto un effetto contrario a quello voluto. Una maggiore desocializzazione, difficoltà nell'integrarsi nella società secondo legge, in conformità dei valori civili. Ho pensato che se fossi padre e mia figlia venisse stuprata da uno di questi uomini, probabilmente non riuscirei a perdonarlo immediatamente, sarei furioso, penserei dentro di me a vendicarmi, passando ai fatti, lasciando da parte le vie legali per farmi giustizia da solo. Sbaglierei e farei un torto a me stesso.

A questo serve la giustizia. Vorrei che la persona colpevole di quell'atto sia giustamente condannata a scontare una pena proporzionata a quello che ha commesso, ma vorrei che chiedesse scusa a me ed a mia figlia, vorrei che si pentisse del gesto fatto. Vorrei vedere in lui, dentro la luce dei suoi occhi un barlume di risentimento, un qualcosa che mi consentisse di perdonarlo. Il perdono. Una parola pesante come una montagna. Credo che perdonare una persona sia più difficile che ucciderla. C'è bisogno di grande sforzo interiore, deve essere sentito dal profondo del proprio cuore per essere vero. Invece per uccidere una persona basta un gesto. Un clic di una pistola, una mossa con un braccio e poi tutto finito. Concluso come la vita della vittima. Il perdono ci può essere solo se dall'altra parte c'è ancora speranza, solo se nel carnefice c'è la voglia di tornare sui propri passi, di aver detto "ok, ho sbagliato, ricomincio da qui". Quello che il braccio sei mi lasciò fu solo dell'amaro in bocca, sapevo che dentro quelle celle pochi sarebbero stati i veri pentiti e tra questi pochissimi quelli perdonati, dopo tutto è nella natura umana sbagliare e perdonare è il modo più difficile per avvicinarsi al divino, pochi vi riescono.
Passammo solo di sfuggita nel braccio sei, ci dirigemmo verso il braccio atto per il carcere femminile.

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