Carcere, tra ipocrisia e umanità. - Carcere5

Qui l'ambiente era molto tranquillo, un rapido appello come all'entrata che venne rifatto anche quando uscimmo, dopo di che notai guardando le varie celle che molte erano aperte, però c'erano delle tende che coprivano l'interno così da creare un ambiente più riservato. Il personale penitenziario era ovviamente femminile, donne forti, ma allo stesso tempo dolci nei modi. La sensibilità della donna si poteva esplicare a pieno in questi momenti all'interno del carcere, molte detenute erano indaffarate in varie operazioni, dalla pulizia del piccolo giardino, alla cucitura di alcuni vestiti. Infatti qui vidi che alcune donne, di varie etnie, russe, slave e sud americane lavoravano in una stanza piena di macchina da cucire, alcuni avevano in mano dei metri, altre stavano piegando dei tessuti. Parlò solo una detenuta, una donna bionda, piuttosto robusta, di origine russa che veniva presa amichevolmente in giro dal nostro brigadiere perchè solo in carcere aveva conosciuto la macchina da cucire. Il lavoro rende liberi. Questa era la scritta che stava all'entrata del campo di concentramento di Auschwitz.

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Tralasciando la realtà di quel luogo, quella frase per un carcere come San Vittore è ben azzeccata, infatti chi lavora si guadagna il rispetto delle altre persone. Un lavoratore risulta essere degno di fiducia sia delle istituzioni che delle persone, è in grado di svolgere una mansione e dentro il carcere il potere del lavoro ha però anche un'altra valenza. Se si lavora non si pensa alla propria condizione, almeno per il tempo per cui ci si adopera, si evita di disperarsi, di cadere in depressione, si riesce a stare insieme ad altre persone ed a comunicare, non ci si sente da soli, non si è più dentro una cella nell'indifferenza della società ed a volte anche della propria famiglia. Per una donna inoltre il riuscire a lavorare senza l'aiuto di un uomo è motivo di orgoglio, di indipendenza e questo porta un gran beneficio e contributo alla propria autostima. Ci si convince che il lavoro è la via giusta e che delinquere invece risulta essere una via cieca, senza sbocchi.

Si capisce come la libertà passi dal lavoro. Allora ecco che proprio sedute su quelle sedie, davanti alle macchine da cucire, da cui si creano splendidi vestiti fatti a mano, tra cui le toghe di alcuni magistrati, si fanno progetti per una propria vita futura. Una vita dove il crimine non regna, dove l'illegalità è lasciata al passato ed è bandita dal presente e dal futuro, dove vi sia la possibilità di fare figli, di creare una famiglia, un luogo sereno e di pace in cui coltivare le proprie passioni e chissà forse anche il cucito potrebbe rientrare fra queste.

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Uscii dal carcere dopo che mi furono restituiti i miei effetti personali, salutai gli altri e mi avviai verso la stazione della metropolitana, però prima di andare via, mi voltai e guardai per l'ultima volta il carcere di San Vittore, vidi quella piccola finestrella di quella piccola cella di quei grandi uomini detenuti lì dentro, sorrisi e mi sentii sollevato nel cuore pensando che un giorno quei ragazzi sarebbero stati liberi come me e che avrebbero potuto camminare sotto il sole respirando aria, sentendosi in pace con se stessi insieme alle persone libere.

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