Brasile, locomotiva del Sud - Brasile locomotiva del Sud3

Lo sforzo di leadership che i paesi vicini chiedono da tempo al Brasile concerne una maggiore apertura del gigantesco mercato interno, la riduzione dei finanziamenti pubblici alle imprese brasiliane operanti nei paesi vicini e l'incremento del flusso di investimenti in progetti infrastrutturali di interesse collettivo. Dal Brasile ci si aspetta inoltre un maggior coinvolgimento politico e militare nella gestione dei fenomeni criminali transnazionali che proliferano nelle aree transfrontaliere del subcontinente (su tutti il narcotraffico) e nella risoluzione di alcuni dei conflitti interni che destabilizzano da tempo le relazioni sudamericane.Rispetto alle questioni poste dai paesi vicini come condizioni necessarie di un nuovo ordine regionale a guida brasiliana, il governo Lula ha fatto ben poco, per diversi motivi. Il primo è senza dubbio quello interno. Le iniziative invocate a gran voce dai paesi sudamericani implicavano necessariamente il sacrificio da parte del governo Lula di porzioni di crescita nazionale in favore di un'integrazione regionale più armoniosa e della definitiva accettazione dell'egemonia regionale brasiliana.

Ciò avrebbe significato andare a scomodare interessi industriali e produttivi politicamente molto influenti nella società brasiliana, come quelli della Fiesp (la Confindustria brasiliana) e dell'universo sindacale della cintura metallurgica di São Paulo, nucleo originario del Pt e forza propulsiva del processo politico-elettorale che ha portato Lula e il suo partito alla presidenza nel 2003. Per un'amministrazione giunta al potere con l'obiettivo storico di ridurre drasticamente i livelli di povertà ed esclusione sociale sconcertanti che relegavano il Brasile nell'inferno del sottosviluppo, non si trattava di concessioni da poco. Il secondo livello d'analisi è quello degli interessi geopolitici brasiliani e degli orientamenti strategici della proiezione esterna del paese sudamericano. Con l'evolversi della situazione internazionale e della posizione del Brasile nell'economia mondiale, il raggiungimento della leadership regionale è via via divenuto un obiettivo strategico meno indispensabile. Durante gli otto anni di governo Lula, il Brasile ha cambiato radicalmente la portata e gli orientamenti della sua proiezione internazionale, trasformandosi in un global trader con interessi economici e finanziari che vanno ben oltre i confini del Sudamerica.

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Queste evoluzioni, unite alle prioritarie esigenze di sviluppo interno (in particolare del povero nordest), hanno alterato significativamente l'equilibrio tra costi e benefici connessi all'esercizio di una leadership regionale economicamente, militarmente e politicamente "generosa", spostando gli interessi del Brasile verso altri scenari. Calata nella difficile realtà delle relazioni politiche ed economiche regionali, la rivoluzione solidaristica e integrazionista della politica estera di Lula era dunque destinata a rivelarsi molto più retorica che di sostanza. Lo scarto tra le aspettative sollevate dall'amministrazione Lula e le iniziative del governo brasiliano dal 2003 ad oggi ci racconta di un graduale inasprimento delle relazioni tra il Brasile e i suoi vicini. Questo deterioramento è il frutto di un approccio strategico brasiliano rimasto (fatta eccezione per alcune importanti ma isolate iniziative che hanno visto impegnata l'amministrazione in sfere d'azione "non-tradizionali") straordinariamente simile al passato. Sebbene durante gli otto anni di Lula la regione abbia vissuto un'intensa proliferazione di nuove istituzioni e innovativi meccanismi di coordinamento e consultazione (anche su temi in precedenza appannaggio esclusivo dei singoli Stati nazione, come la difesa), ciò non è sfociato nella creazione di una comunità regionale economicamente integrata. Con l'eccezione del Consiglio di difesa sudamericano (Cds), sorto nel 2008 per affrontare in modo coordinato le minacce alla sicurezza della regione, ma ancora oggi in fase di rodaggio, i risultati più rilevanti sono stati ottenuti sul piano del dialogo e della concertazione politica. Resta comunque da dire che il Brasile e l'Unasur sono sicuramente più efficienti nella risoluzione delle varie controversie interne rispetto all'UE ed i paesi membri. La realtà è che nonostante divergenze interne all'Unasur, si è sempre trovati una soluzione di sintesi che andasse bene per tutti i membri, cosa che nell'UE accada quasi mai, dato il conflitto ormai appurato a storico tra Francia e Germania.

La creazione della Unión de las Naciones Sudamericanas (Unasur) nel maggio 2008 è senza dubbio il fiore all'occhiello della politica regionale dell'amministrazione. Fortemente voluta da Lula per far confluire il frammentato panorama delle istituzioni regionali e sub-regionali all'interno di un'unica istituzione ispirata al modello dell'integrazione europea (con il fine ultimo di creare un mercato unico sudamericano), questa ha certamente contribuito a rinsaldare e ampliare lo spettro della cooperazione tra i paesi della regione. Grazie alla piattaforma Unasur e alla mediazione diplomatica del Brasile è stato possibile scongiurare lo scoppio di conflitti inter-statali - come nel caso delle tensioni tra Venezuela, Colombia ed Ecuador causate da un raid militare colombiano contro un accampamento delle Farc nel marzo 2008 (e la degenerazione di conflitti interni dal grande potenziale destabilizzatore) su tutti quello che ha portato la Bolivia di Morales a un passo dalla guerra civile, sempre nel 2008. Detto ciò, la lista delle promesse disattese è lunga. In primo luogo, non sono state affrontate le sperequazioni economico-produttive e le distorsioni tariffarie di stampo protezionistico che stanno alla base della paralisi di gran parte degli accordi economici regionali.

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Al contrario, con l'intensificarsi della crisi economica globale iniziata nel 2008, le barriere protezionistiche sono aumentate, in particolare nel caso del commercio bilaterale tra Argentina e Brasile. Lungi dal portare con sé un incremento degli investimenti in opere infrastrutturali di interesse regionale, il "take-off" dell'economia brasiliana si è tradotto in una presenza ancora più massiccia ed invasiva delle grandi imprese brasiliane nei paesi vicini (in particolare Petrobras e i colossi della fiorente industria dell'agro-business). Nonostante la crescente insoddisfazione per l'espansione ipertrofica e aggressiva degli interessi brasiliani, il governo Lula ha addirittura intensificato le generose politiche di sostegno ai "campioni industriali" nazionali già in piedi, mediante prestiti a tassi d'interesse sovvenzionati e investimenti a forte partecipazione pubblica elargiti dalla potente banca di sviluppo brasiliana, il prospero Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social (Bndes). Anche i flussi commerciali esteri del gigante sudamericano segnalano un relativo distanziamento dalla regione, figlio di un'enorme espansione e diversificazione delle esportazioni brasiliane, sempre più globali.

Il commercio con i paesi africani, dell'Asia centrale e dell'Estremo Oriente cresce più del commercio con i paesi sudamericani, a riprova del fatto che il Sudamerica è per il Brasile contemporaneo solo uno dei baricentri commerciali possibili. Lo stesso vale per la questione energetica, da anni tema caldo dell'integrazione sudamericana e terreno di battaglia per l'egemonia regionale. Nonostante i faraonici progetti infrastrutturali legati al Gasoducto del Sur (carta), che avrebbe dovuto trasportare il petrolio venezuelano fino alle megalopoli São Paulo e Buenos Aires, non sono stati mossi passi significativi verso la creazione di una matrice energetica regionale integrata. Il grande gasdotto è confinato in un cassetto, mentre gli altri progetti di oleodotti e gasdotti transnazionali sono fermi a causa di marcate divergenze nelle visioni strategiche sull'approvvigionamento energetico dei paesi sudamericani: tema sensibile in una regione segnata da cronici problemi di sostenibilità energetica. Il ritrovamento nel 2008 di enormi giacimenti petroliferi off-shore (il potenziale del complesso di giacimenti denominato Pre-sal si aggira attorno ai 10 miliardi di barili) nelle acque profonde antistanti le coste degli stati di Rio de Janeiro e Espírito Santo ha ulteriormente intensificato la tradizionale tendenza all'auto-sussistenza energetica del Brasile, chiudendo definitivamente le porte alla partecipazione di capitali brasiliani nei progetti di integrazione energetica regionale.

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Lo sfruttamento del Pre-sal dovrebbe garantire al Brasile di ridurre al minimo l'importazione di gas dalla Bolivia e di petrolio dal Venezuela, entrambi considerati paesi inaffidabili. Anche per quel che riguarda la partecipazione militare e logistica del Brasile, tanto nelle operazioni di peacekeeping come nella lotta al narcotraffico, la politica di Lula non ha registrato cambiamenti significativi rispetto al passato. Il Brasile ha conservato la sua viscerale avversione a qualunque intromissione negli affari interni degli Stati e la sua scarsa propensione alla partecipazione nell'ambito di iniziative multilaterali volte al contrasto di fenomeni criminali transnazionali. L'unica eccezione è la decisione, presa a sorpresa nel 2004, di guidare il contingente delle Nazioni Unite Minustah impegnato in una complessa missione di peacekeeping a Haiti. Un'anomalia, questa, intimamente connessa all'obiettivo strategico di un seggio permanente presso il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, storicamente perseguito dal Brasile e trasformato dall'amministrazione Lula in una priorità diplomatica assoluta. Insomma, dopo il governo Lula, la configurazione delle relazioni tra il Brasile - sempre più simile, per interessi economici e proiezione geopolitica, ai global trader Cina e India - e i paesi della regione è mutata in una direzione contraria alle iniziali previsioni dell'amministrazione.

Nonostante Brasilia abbia evocato con forza un ruolo e responsabilità nuove dinnanzi alle sfide dello sviluppo e dell'integrazione regionale, le iniziative del governo e della diplomazia brasiliana non hanno prodotto il consenso sperato. Al contrario, le distanze tra gli interessi del Brasile e quelli degli altri paesi sudamericani sono aumentate. A seguito della crescita esponenziale delle esportazioni e dei capitali brasiliani nei paesi vicini si sono moltiplicate le tensioni commerciali e dell'insofferenza per una presenza economica e commerciale percepita come predatoria. Allo stesso modo, sebbene si siano registrati passi in avanti nella cooperazione e nella concertazione politica a livello regionale, grazie come detto alla nascita di Unasur e alla creazione del Cds, l'integrazione sudamericana rimane, nel complesso, un'integrazione politica dall'innato carattere inter-governativo e perciò soggetta agli umori dei cicli politici nazionali e alle iniziative dei singoli governi. In questo senso, il Brasile di Lula non solo non ha potuto, ma non ha voluto mettersi in gioco, facendo prevalere le ragioni dell'espansione economica interna su quelle della riduzione delle asimmetrie commerciali che rendono un'integrazione economica più profonda insostenibile per molti paesi sudamericani.

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