Brasile, locomotiva del Sud

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Conosciamo tutti quanti il Brasile. Terra di grande festa, di gente sorridente, ma anche di enormi squilibri sociali ed economici. Questa nostra visione è ancora attuale? Lo scopriamo con questo articolo.

Il Brasile oggi è entrato tra "big" dell'economia, non può più essere considerato un paese in via di sviluppo o del terzo mondo. I dati ci dicono che Nel 2011 l'economia brasiliana, pur crescendo con un ritmo inferiore a quello del 2010, (2,7%, secondo le stime EIU, rispetto al 7,5% dell'anno precedente), é diventata la sesta economia mondiale per PIL (espresso in dollari USA), superando il Regno Unito(ed è destinata a diventare tra 1-2 anni la quinta). La previsione di crescita per il 2012 dell'EIU è del 3,3%. La forte dinamica della domanda interna continua a sostenere il prodotto ma, al tempo stesso, contribuisce a mantenere elevato il tasso di inflazione (nel 2011 del 6,5% al di sopra dell'obiettivo del governo del 4,5%). Negli ultimi 3 anni il dollaro ha perso circa il 40% del proprio valore rispetto alla valuta brasiliana, favorendo tra l'altro la mobilità dei brasiliani all'estero. La bilancia commerciale mette in evidenza la vocazione di esportatore di "commodities" del Brasile (minerali di ferro, soia, caffè, derivati del petrolio ); si contrappone a ciò la crescita delle importazioni di beni intermedi e ad alta tecnologia (più convenienti se acquistati in dollari) che ha ripercussioni negative sulla crescita dell'industria domestica.

Crescita e apprezzamento del real rispetto alle principali valute internazionali (generato soprattutto dai forti afflussi di capitale finanziario internazionale "speculativo") continuano ad essere le principali preoccupazioni del governo, insediatosi all'inizio del 2011. Alcuni grandi eventi in programma in Brasile in questi anni (Conferenza delle N.U. sullo sviluppo sostenibile Rio +20, la Giornata della Gioventu' e la Coppa delle Confederazioni di Calcio del 2013, i Mondiali di Calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016) hanno impresso un ulteriore impulso al clima di fiducia e hanno posto al centro del Piano dell'Amministrazione Rousseff il Programma di Accelerazione della Crescita (PAC), che prevede la realizzazione di grandi opere infrastrutturali e di sostegno alla produzione energetica di questo Paese. Il Brasile ha circa 200 milioni di abitanti, che parlano per lo più portoghese e si dividono in cattolici ed evangelici, anche se non mancano, specie nell'entroterra alcune tribù non ancora entrate a pieno nella società moderna che si dedicano al culto dei propri avi e di divinità spirituali, riconducibili alle varie forze della natura. Da sempre questo paese è caratterizzato per una struttura demografica fortemente giovane, basti pensare che il 30% della popolazione ha meno di 14 anni. Ciò viene confermato da un altro indice, quello del tasso di crescita, che si attesta all'1,17 del 2010, e nel 2013 il dato è aumentato di poco.

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Una nazione del genere, così vasta, che si affaccia su uno degli oceani più trafficati del pianeta, dotata di innumerevoli bellezze artistiche e paesaggistiche non può certo fare a meno del contributo che il turismo può dare alla sua economia. Ecco perché le politiche di sviluppo del paese hanno puntato molto su questo settore, basti pensare che dal 1999 al 2009 i turisti sono aumentati del 67%, e si tratta di cifre dell'ordine di milioni d'individui. Se dovessimo rapidamente identificare di quale nazionalità siano questi turisti, ci balzerebbe subito all'occhio quella americana, seguita subito dopo dall'argentina, mentre gli italiani si trovano in nona posizione dopo l'Uruguay. Il Brasile da sempre è legato per tradizione ai paesi latini dell'Europa, specie Portogallo, Spagna ed Italia. Vuoi per un processo storico di qualche secolo fa, grazie alle immigrazioni degli europei verso la terra promessa brasiliana, vuoi anche per una similitudine per il modo di vivere, i brasiliani spesso giungono in Italia. Le fonti più recenti ci indicano che sono ben 1.137.182 i brasiliani che hanno visitato l'Italia nel 2009. Nel 2011 le spese dei turisti brasiliani all'estero sono state pari a 21,2 miliardi di dollari statunitensi ed hanno fatto registrare un aumento del 29,2 percento rispetto all'anno precedente (16,4 miliardi di dollari). La tendenza all'aumento della spesa turistica brasiliana all'estero con percentuali a due cifre è iniziata nell'anno 2005, in coincidenza con il rafforzamento della valuta brasiliana nei confronti di dollaro e euro.

Secondo i dati pubblicati dalla Banca Centrale, infatti, se nel 2002 le spese all'estero dei turisti brasiliani sono state pari a 2,3 miliardi di dollari, nel 2005 si è passati a 4,7 miliardi e nel 2008 a 10,9 miliardi. Solo nel 2009, per effetto della crisi globale, c'è stato un momentaneo freno (10,8 miliardi), allentatosi già a partire del 2010, come sopra indicato. La combinazione di diverse condizioni macroeconomiche previste nel il 2012, come la valutazione della moneta brasiliana (Real) nei confronti del dollaro e l'euro, insieme alla fase positiva dell'economia brasiliana e l'aumento dei redditi e del credito della popolazione, fanno pensare che il Brasile non si voglia fermare(a beneficio di tutti i propri partner economici, Italia compresa).La domanda che sorge spontanea dopo tutta questa serie di dati, che per noi italiani degli ultimi 20 anni risulta essere senza pietà(abbiamo la bava a leggerli, magari fossimo noi nelle loro condizioni), è quale sia il segreto o il piano politico che ha permesso questo straordinario risultato? Premesso che le disuguaglianze di questo paese sono manifeste ed esplicite, questo non toglie che i vari governi che si sono succeduti non abbiano cercato di non solo fare da tampone attraverso vari meccanismi, ma anche di far indietreggiare la miseria e la povertà con politiche pragmatiche e concrete.

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Esistono ancora 54 milioni di poveri (33% della popolazione) e 23 milioni di indigenti (14% ). La maggioranza della popolazione povera vive nel Nordest (58%) e nel Sudest (20%). La società brasiliana è oggi una delle più disomogenee del mondo. Molti problemi permangono e spesso si aggravano mostrando le contraddizioni dell'attuale modello economico e del processo di globalizzazione in corso: miseria, cattiva distribuzione del reddito, disoccupazione, concentrazione della ricchezza, corruzione, violenza, prostituzione infantile, senza tetto, salute e educazione, ed altre situazioni di esclusione sociale e di mancanza di rispetto della dignità umana. Giungiamo ora alla risposta del quesito che ci siamo posti poco fa. Durante la doppia presidenza Lula, il Brasile ha vissuto un'incredibile metamorfosi, unica nella storia del gigante sudamericano per profondità, gradualità e sostenibilità. Il travolgente ciclo politico ed economico innescato dagli otto anni di governo Lula (2003-2010) - il quale lascia Plan Alto con tassi di popolarità vicini al 90% e un'economia "rovente", che nel solo 2010 cresce ad un tasso del 7,5% - è destinato ad imprimersi nella memoria collettiva brasiliana come uno dei passaggi storici più importanti e produttivi nell'altrimenti sfilacciata traiettoria dello sviluppo del paese sudamericano.

Il Brasile è ora un gigante commerciale e diplomatico. Una delle democrazie più popolose del pianeta, dotata di un impianto economico solido e di una politica estera ambiziosa e determinata. Quale è stato l'impatto della ventata di autostima portata dall'elezione di Lula sulle relazioni tra il gigante sudamericano e i suoi vicini? Il posizionamento strategico del Brasile sullo scenario sudamericano ha rappresentato, sin dall'indipendenza del settembre 1822, il "dilemma fondante" della visione geopolitica brasiliana. Per dimensioni, dinamiche economiche e sviluppi storici, il Brasile ha dovuto confrontarsi, non senza contraddizioni e incertezze, con la realtà di un'egemonia regionale, al contempo, fisiologica e aleatoria. La storia delle relazioni tra il Brasile e vicini sudamericani è quella di un paese in preda al classico dilemma dei "costi strutturali" della leadership regionale. Un paese, cioè, cronicamente incapace di esercitare una leadership credibile agli occhi dei vicini, poiché privo delle risorse economiche e militari necessarie a tal fine.

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Il primo elemento di discontinuità portato dalla politica regionale dell'amministrazione Lula è riscontrabile nella volontà di superamento dell'ambiguità sul tema della leadership regionale - storicamente una sorta di tabù per una diplomazia più preoccupata delle possibili reazioni dei vicini in termini di balancing che attratta dai benefici di una posizione di egemonia. Arrivato alla presidenza nel gennaio 2003, Lula non tardò a definire il rafforzamento delle relazioni con la regione come la priorità assoluta della sua politica estera, manifestando ufficialmente la volontà del Brasile di fornire quei pay-offs (garanzie economiche, politiche e militari sotto forma di prestiti, finanziamenti, mediazione diplomatica e deterrenza militare) che una potenza regionale dovrebbe assicurare ai propri vicini in cambio della loro acquiescenza geopolitica. Attingendo alla "diplomazia della generosità" tipica della visione internazionale del Partido dos Trabalhadores (Pt), imperniata sulle cosiddette relazioni south-south e sulla centralità di un'integrazione tra i paesi sudamericani di stampo solidaristico e cooperativo, Lula ha promosso un'agenda regionale ambiziosa e fortemente "politicizzata". Questa non si è limitata a ribadire il legame inscindibile tra le sorti dello sviluppo brasiliano e quelle dell'integrazione sudamericana, ma ha sancito la volontà di leadership del Brasile, pronto a intervenire per correggere quelle asimmetrie economiche, commerciali e infrastrutturali che - come nel caso del Mercosur - ostacolano la realizzazione di una integrazione piena e reciprocamente produttiva.

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Un'integrazione afasica, schiacciata dal peso delle incompatibilità economiche tra paesi con strutture produttive troppo simili e orfana di una potenza regionale capace di esercitare una leadership credibile e responsabile, alternativa alla visione ideologizzata e clientelare dell'integrazione propugnata da Hugo Chávez e alimentata dal boom delle rendite petrolifere venezuelane. Il Brasile di Lula ha potuto contare su un contesto regionale piuttosto favorevole, nel quale le consonanze politiche e la crescita economica robusta e diffusa sembravano poter attenuare la storica diffidenza dei paesi vicini nei confronti di un'egemonia brasiliana.Le affinità elettive tra la retorica integrazionista di Lula e le posizioni politiche delle amministrazioni in carica nei paesi vicini si sono rivelate in più occasioni decisive nella risoluzione di gravi tensioni politiche e commerciali che hanno visto il Brasile venire ai ferri corti con alcuni vicini.  Basti ricordare la crisi diplomatica con la Bolivia nel 2006 (a seguito della nazionalizzazione del gas boliviano che ha coinvolto le raffinerie del colosso petrolifero brasiliano Petrobras) e le schermaglie commerciali con Argentina (per il proliferare di barriere tariffarie protezionistiche contrarie al regime di liberalizzazione commerciale stabilito dal Mercosur) e Paraguay (a causa del contrabbando che interessa la porosissima area di confine tra i due paesi).

In queste occasioni, il Brasile ha mediato in modo responsabile e ricucito gli strappi con la forza della sua diplomazia e il carisma del presidente, capace di intessere relazioni idilliache con gli interlocutori più diversi, a prescindere dalle posizioni ideologiche: dalla Colombia di Uribe, al Venezuela di Chávez; dalla Bolivia "indigenista" di Morales agli Stati Uniti di G.W. Bush, sempre in nome dell'interesse nazionale brasiliano. Ciò ovviamente non poteva bastare. Le affinità politiche erano destinate a scontrarsi con i nodi gordiani dell'integrazione economica in Sudamerica, paralizzata da bottlenecks che mettono a rischio la competitività di una regione che deve necessariamente andare oltre l'esportazione di materie prime.Tra i dilemmi più spinosi, il permanere di barriere protezionistiche in mercati strategici (in particolare quelli automobilistico, agricolo ed energetico) e le grandi lacune infrastrutturali (la regione manca di porti, oleodotti, gasdotti, reti stradali e ferroviarie adeguate). In merito a queste criticità, i paesi della regione si aspettavano dall'amministrazione Lula gesti e iniziative concrete volte a correggere le asimmetrie - molte delle quali scaturite dall'esuberanza produttiva e commerciale dello stesso Brasile e perciò favorevoli agli interessi economici di quest'ultimo - che comprimono gli scambi intra-regionali e ostacolano la creazione di vere e proprie aree di libero scambio tra i paesi sudamericani.


Lo sforzo di leadership che i paesi vicini chiedono da tempo al Brasile concerne una maggiore apertura del gigantesco mercato interno, la riduzione dei finanziamenti pubblici alle imprese brasiliane operanti nei paesi vicini e l'incremento del flusso di investimenti in progetti infrastrutturali di interesse collettivo. Dal Brasile ci si aspetta inoltre un maggior coinvolgimento politico e militare nella gestione dei fenomeni criminali transnazionali che proliferano nelle aree transfrontaliere del subcontinente (su tutti il narcotraffico) e nella risoluzione di alcuni dei conflitti interni che destabilizzano da tempo le relazioni sudamericane.Rispetto alle questioni poste dai paesi vicini come condizioni necessarie di un nuovo ordine regionale a guida brasiliana, il governo Lula ha fatto ben poco, per diversi motivi. Il primo è senza dubbio quello interno. Le iniziative invocate a gran voce dai paesi sudamericani implicavano necessariamente il sacrificio da parte del governo Lula di porzioni di crescita nazionale in favore di un'integrazione regionale più armoniosa e della definitiva accettazione dell'egemonia regionale brasiliana.

Ciò avrebbe significato andare a scomodare interessi industriali e produttivi politicamente molto influenti nella società brasiliana, come quelli della Fiesp (la Confindustria brasiliana) e dell'universo sindacale della cintura metallurgica di São Paulo, nucleo originario del Pt e forza propulsiva del processo politico-elettorale che ha portato Lula e il suo partito alla presidenza nel 2003. Per un'amministrazione giunta al potere con l'obiettivo storico di ridurre drasticamente i livelli di povertà ed esclusione sociale sconcertanti che relegavano il Brasile nell'inferno del sottosviluppo, non si trattava di concessioni da poco. Il secondo livello d'analisi è quello degli interessi geopolitici brasiliani e degli orientamenti strategici della proiezione esterna del paese sudamericano. Con l'evolversi della situazione internazionale e della posizione del Brasile nell'economia mondiale, il raggiungimento della leadership regionale è via via divenuto un obiettivo strategico meno indispensabile. Durante gli otto anni di governo Lula, il Brasile ha cambiato radicalmente la portata e gli orientamenti della sua proiezione internazionale, trasformandosi in un global trader con interessi economici e finanziari che vanno ben oltre i confini del Sudamerica.

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Queste evoluzioni, unite alle prioritarie esigenze di sviluppo interno (in particolare del povero nordest), hanno alterato significativamente l'equilibrio tra costi e benefici connessi all'esercizio di una leadership regionale economicamente, militarmente e politicamente "generosa", spostando gli interessi del Brasile verso altri scenari. Calata nella difficile realtà delle relazioni politiche ed economiche regionali, la rivoluzione solidaristica e integrazionista della politica estera di Lula era dunque destinata a rivelarsi molto più retorica che di sostanza. Lo scarto tra le aspettative sollevate dall'amministrazione Lula e le iniziative del governo brasiliano dal 2003 ad oggi ci racconta di un graduale inasprimento delle relazioni tra il Brasile e i suoi vicini. Questo deterioramento è il frutto di un approccio strategico brasiliano rimasto (fatta eccezione per alcune importanti ma isolate iniziative che hanno visto impegnata l'amministrazione in sfere d'azione "non-tradizionali") straordinariamente simile al passato. Sebbene durante gli otto anni di Lula la regione abbia vissuto un'intensa proliferazione di nuove istituzioni e innovativi meccanismi di coordinamento e consultazione (anche su temi in precedenza appannaggio esclusivo dei singoli Stati nazione, come la difesa), ciò non è sfociato nella creazione di una comunità regionale economicamente integrata. Con l'eccezione del Consiglio di difesa sudamericano (Cds), sorto nel 2008 per affrontare in modo coordinato le minacce alla sicurezza della regione, ma ancora oggi in fase di rodaggio, i risultati più rilevanti sono stati ottenuti sul piano del dialogo e della concertazione politica. Resta comunque da dire che il Brasile e l'Unasur sono sicuramente più efficienti nella risoluzione delle varie controversie interne rispetto all'UE ed i paesi membri. La realtà è che nonostante divergenze interne all'Unasur, si è sempre trovati una soluzione di sintesi che andasse bene per tutti i membri, cosa che nell'UE accada quasi mai, dato il conflitto ormai appurato a storico tra Francia e Germania.

La creazione della Unión de las Naciones Sudamericanas (Unasur) nel maggio 2008 è senza dubbio il fiore all'occhiello della politica regionale dell'amministrazione. Fortemente voluta da Lula per far confluire il frammentato panorama delle istituzioni regionali e sub-regionali all'interno di un'unica istituzione ispirata al modello dell'integrazione europea (con il fine ultimo di creare un mercato unico sudamericano), questa ha certamente contribuito a rinsaldare e ampliare lo spettro della cooperazione tra i paesi della regione. Grazie alla piattaforma Unasur e alla mediazione diplomatica del Brasile è stato possibile scongiurare lo scoppio di conflitti inter-statali - come nel caso delle tensioni tra Venezuela, Colombia ed Ecuador causate da un raid militare colombiano contro un accampamento delle Farc nel marzo 2008 (e la degenerazione di conflitti interni dal grande potenziale destabilizzatore) su tutti quello che ha portato la Bolivia di Morales a un passo dalla guerra civile, sempre nel 2008. Detto ciò, la lista delle promesse disattese è lunga. In primo luogo, non sono state affrontate le sperequazioni economico-produttive e le distorsioni tariffarie di stampo protezionistico che stanno alla base della paralisi di gran parte degli accordi economici regionali.

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Al contrario, con l'intensificarsi della crisi economica globale iniziata nel 2008, le barriere protezionistiche sono aumentate, in particolare nel caso del commercio bilaterale tra Argentina e Brasile. Lungi dal portare con sé un incremento degli investimenti in opere infrastrutturali di interesse regionale, il "take-off" dell'economia brasiliana si è tradotto in una presenza ancora più massiccia ed invasiva delle grandi imprese brasiliane nei paesi vicini (in particolare Petrobras e i colossi della fiorente industria dell'agro-business). Nonostante la crescente insoddisfazione per l'espansione ipertrofica e aggressiva degli interessi brasiliani, il governo Lula ha addirittura intensificato le generose politiche di sostegno ai "campioni industriali" nazionali già in piedi, mediante prestiti a tassi d'interesse sovvenzionati e investimenti a forte partecipazione pubblica elargiti dalla potente banca di sviluppo brasiliana, il prospero Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social (Bndes). Anche i flussi commerciali esteri del gigante sudamericano segnalano un relativo distanziamento dalla regione, figlio di un'enorme espansione e diversificazione delle esportazioni brasiliane, sempre più globali.

Il commercio con i paesi africani, dell'Asia centrale e dell'Estremo Oriente cresce più del commercio con i paesi sudamericani, a riprova del fatto che il Sudamerica è per il Brasile contemporaneo solo uno dei baricentri commerciali possibili. Lo stesso vale per la questione energetica, da anni tema caldo dell'integrazione sudamericana e terreno di battaglia per l'egemonia regionale. Nonostante i faraonici progetti infrastrutturali legati al Gasoducto del Sur (carta), che avrebbe dovuto trasportare il petrolio venezuelano fino alle megalopoli São Paulo e Buenos Aires, non sono stati mossi passi significativi verso la creazione di una matrice energetica regionale integrata. Il grande gasdotto è confinato in un cassetto, mentre gli altri progetti di oleodotti e gasdotti transnazionali sono fermi a causa di marcate divergenze nelle visioni strategiche sull'approvvigionamento energetico dei paesi sudamericani: tema sensibile in una regione segnata da cronici problemi di sostenibilità energetica. Il ritrovamento nel 2008 di enormi giacimenti petroliferi off-shore (il potenziale del complesso di giacimenti denominato Pre-sal si aggira attorno ai 10 miliardi di barili) nelle acque profonde antistanti le coste degli stati di Rio de Janeiro e Espírito Santo ha ulteriormente intensificato la tradizionale tendenza all'auto-sussistenza energetica del Brasile, chiudendo definitivamente le porte alla partecipazione di capitali brasiliani nei progetti di integrazione energetica regionale.

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Lo sfruttamento del Pre-sal dovrebbe garantire al Brasile di ridurre al minimo l'importazione di gas dalla Bolivia e di petrolio dal Venezuela, entrambi considerati paesi inaffidabili. Anche per quel che riguarda la partecipazione militare e logistica del Brasile, tanto nelle operazioni di peacekeeping come nella lotta al narcotraffico, la politica di Lula non ha registrato cambiamenti significativi rispetto al passato. Il Brasile ha conservato la sua viscerale avversione a qualunque intromissione negli affari interni degli Stati e la sua scarsa propensione alla partecipazione nell'ambito di iniziative multilaterali volte al contrasto di fenomeni criminali transnazionali. L'unica eccezione è la decisione, presa a sorpresa nel 2004, di guidare il contingente delle Nazioni Unite Minustah impegnato in una complessa missione di peacekeeping a Haiti. Un'anomalia, questa, intimamente connessa all'obiettivo strategico di un seggio permanente presso il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, storicamente perseguito dal Brasile e trasformato dall'amministrazione Lula in una priorità diplomatica assoluta. Insomma, dopo il governo Lula, la configurazione delle relazioni tra il Brasile - sempre più simile, per interessi economici e proiezione geopolitica, ai global trader Cina e India - e i paesi della regione è mutata in una direzione contraria alle iniziali previsioni dell'amministrazione.

Nonostante Brasilia abbia evocato con forza un ruolo e responsabilità nuove dinnanzi alle sfide dello sviluppo e dell'integrazione regionale, le iniziative del governo e della diplomazia brasiliana non hanno prodotto il consenso sperato. Al contrario, le distanze tra gli interessi del Brasile e quelli degli altri paesi sudamericani sono aumentate. A seguito della crescita esponenziale delle esportazioni e dei capitali brasiliani nei paesi vicini si sono moltiplicate le tensioni commerciali e dell'insofferenza per una presenza economica e commerciale percepita come predatoria. Allo stesso modo, sebbene si siano registrati passi in avanti nella cooperazione e nella concertazione politica a livello regionale, grazie come detto alla nascita di Unasur e alla creazione del Cds, l'integrazione sudamericana rimane, nel complesso, un'integrazione politica dall'innato carattere inter-governativo e perciò soggetta agli umori dei cicli politici nazionali e alle iniziative dei singoli governi. In questo senso, il Brasile di Lula non solo non ha potuto, ma non ha voluto mettersi in gioco, facendo prevalere le ragioni dell'espansione economica interna su quelle della riduzione delle asimmetrie commerciali che rendono un'integrazione economica più profonda insostenibile per molti paesi sudamericani.


A fronte del dinamismo dalla diplomazia brasiliana sullo scacchiere internazionale e del fiorire di partnership strategiche con alleati non-tradizionali come Cina, India e Sudafrica, l'operato della politica regionale del governo Lula è dunque stato a dir poco "cauto", concentrandosi sulla conservazione di un equilibrio di potere favorevole agli interessi economici del Brasile. I grandi risultati ottenuti in termini di sviluppo economico interno e proiezione internazionale hanno dimostrato che il Brasile non ha bisogno, almeno in questo frangente, di un'integrazione sudamericana più profonda per ambire al ruolo di potenza globale emergente. Questo non significa che esso non abbia interessi cruciali in Sudamerica, né che si stia allontanando permanentemente dalla regione. Piuttosto, indica che oggi il Brasile non ha alcun interesse a modificare un equilibrio di potere che gli garantisce, de facto, una superiorità economica e politica estremamente vantaggiosa. Le relazioni bilaterali tenute dall'amministrazione Lula con Venezuela, Bolivia e Argentina svelano come la vera priorità della politica regionale brasiliana sia stata quella di evitare destabilizzazioni che mettessero a rischio lo status quo e gli interessi economici del Brasile nei paesi vicini, adoperando la forza del proprio apparato diplomatico e la "carota" degli investimenti per ricomporre le fratture venutesi a creare.

Ecco spiegate le decisioni dell'amministrazione Lula di chiudere ripetutamente un occhio sul proliferare di barriere tariffarie ai prodotti brasiliani in Argentina, di rinegoziare il prezzo del gas boliviano a seguito della nazionalizzazione imposta unilateralmente dall'"amico" Morales, o di partecipare simbolicamente alle iniziative sponsorizzate da Hugo Chávez (come la creazione del Banco del Sur e la realizzazione del Gasoducto del Sur) al fine di evitare il pericoloso isolamento del Venezuela e contenerne così il potenziale destabilizzatore. In conclusione, gli otto anni di Lula hanno dimostrato come il Brasile contemporaneo non possa essere al contempo global trader e potenza regionale "generosa". Rimangono vari aspetti d'affrontare, in primis il problema delle favelas e dei narcotrafficanti, di cui lo stesso Roberto Saviano ne parla ampiamente nel suo ultimo scritto, "Zero, zero, zero", tuttavia discutendone come un problema non locale del Brasile(citandolo solo di passaggio), ma più esteso che affligge in maniera più specifica altre zone del continente sudamericano, come la Colombia ed il Venezuela.

Spesso giungono in Europa ed Italia, notizie di veri e propri scontri armati tra esercito e forze speciali contro i narcotrafficanti nascosti nelle varie zone di immense megalopoli, come Rio De Janeiro. Inutile dire che l'amministrazione Lula ed anche quella attuale hanno adottato una forte politica repressiva nei confronti di questo fenomeno che si può definire a tutti gli effetti una vera piaga sociale, oltre che economica. In quelle zone di "No man land", lo Stato ha cercato in tutti i modi di farsi protettore degli interessi dei più deboli, usando la forza contro invece chi non era d'accordo, perché vedeva in quest'azione(laddove la corruzione non riusciva più ad essere efficace) una diminuzione dei propri proventi derivanti dalla droga, così come la prostituzione, anche minorile, se non addirittura il traffico di esseri umani.Tali soggetti sono considerati a tutti gli effetti come dei terroristi, e non semplici criminali senza scrupoli. In tal senso la giurisprudenza brasiliana ha fatto passi da gigante, garante un sistema normativa decisamente all'avanguardia contro questo tipo di reati, ma che purtroppo deve essere realistico data la enorme portata del fenomeno criminale.

In Brasile operano numerosissime organizzazioni no-profit, che grazie al loro contributo danno un notevole sostegno a quella parte di popolazione, circa un quarto, che risulta essere povera, priva di ogni bene di prima necessità, dunque si va dal cibo, ai medicinali ed i vestiti. I dati più recenti ci informano che questo tipo di azione sta conseguendo ogni anno sempre maggiori risultati, e la crescita economica del paese, che favorisce l'occupazione, favorisce l'abbassamento della povertà. Uno dei medi per combattere la miseria è stato il modus operandi del Brasile alle nuove tecnologie, grazie all'informatizzazione dell'amministrazione, ancora in atto, ma già in un buon stato d'avanzamento, oltre che un programma iniziato pochi giorni fa di accessibilità alla rete da parte del 90% di tutto il paese. Questo programma è mirato a portare la cultura, la dove la costruzione di scuole o di sistemi d'istruzione resta ancora un miraggio. Un pc in un piccolo borgo brasiliano può fare la differenza, dando la possibilità alle persone d'informarsi, di tenere un contatto con lo Stato centrale e le amministrazioni ed in più favorisce il lavoro, in quanto tale rete deve essere costruita, ed a fianco di essa ne nascerà un'altra volta alla manutenzione ed il supporto.

Un paese dotato di rete accessibile a tutti è un paese democratico, che investe nei giovani e nelle nuove tecnologie. Logico che ci sono altri problemi, ma non una giustificazione per non fare questo passo. Dopo tutto noi italiani siamo bravi a criticare e guardare gli altri, peccato che rimaniamo sempre indietro. Loro erano indietro, con deficit economici e sociali raccapriccianti fino a 10-15 anni fa. Tuttavia ora sono la 5 potenza mondiale e noi che facciamo? Restiamo a guardare la tv ed i giornali? No, grazie. Prendiamo esempio del Brasile, dopo tutto, non siamo stati noi a crearlo in parte 2 secoli fa?

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