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Massime del Buddha

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Platone - Menone

SOCRATE: I sofisti (43) chiamano questa linea diagonale: (44) cosicché, se questa linea ha il nome di diagonale, a partire dalla diagonale, come tu dici, o schiavo di Menone, risulterebbe l'area doppia.

SCHIAVO: Certo, o Socrate.

SOCRATE: Che ne pensi, Menone? C'è qualche opinione che costui non espresse, nelle sue risposte, come sua?

MENONE: No, sono opinioni sue.

SOCRATE: E tuttavia non sapeva, come dicevamo poco fa.

MENONE: Quel che dici è vero.

SOCRATE: Dunque queste opinioni si trovavano in lui: o no?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Ma in chi non sa possono essere presenti, sulle cose che non sa, opinioni vere?

MENONE: è evidente.

SOCRATE: E adesso in lui queste opinioni sono emerse, come in un sogno;(45) ma se uno gli chiederà più volte queste stesse cose e in molti modi, puoi star certo che alla fine avrà di questi argomenti una conoscenza puntuale non meno di chiunque altro.

MENONE: è probabile.

SOCRATE: Dunque avrà una conoscenza senza che nessuno gli abbia insegnato, ma grazie a delle semplici domande, avendo recuperato lui da se stesso la conoscenza?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Il recuperare da se stessi all'interno di sé una conoscenza non significa ricordarsi?

MENONE: Certamente.

SOCRATE: Ebbene, questa conoscenza che egli adesso possiede, l'acquisì in un certo tempo o la possedeva da sempre?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Ma se la possedeva da sempre, è sempre stato anche sapiente; se invece l'acquisì in un certo momento, l'ha acquisita sicuramente non in questa vita. O forse qualcuno ha insegnato a costui la geometria?

Egli infatti farà le stesse cose in tutta la geometria e in tutte quante le altre discipline. C'è dunque qualcuno che abbia insegnato a costui tutto? E infatti è certo giusto che tu lo sappia, soprattutto dal momento che è nato ed è stato allevato nella tua casa.

MENONE: Ebbene, sono ben certo che non gli insegnò mai nessuno.

SOCRATE: Ma ha queste opinioni oppure no?

MENONE: Necessariamente, o Socrate, sembra.

SOCRATE: Se dunque non le ha acquisite in questa vita, non è ormai chiaro che le aveva e le aveva apprese in un altro tempo?

MENONE: è evidente.

SOCRATE: E questo tempo non è appunto quello in cui non era uomo?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Se dunque nel tempo in cui è e nel tempo in cui non è un uomo avrà insite in sé opinioni vere, che, ridestate da una interrogazione, diventano conoscenze, non è forse vero che la sua anima le avrà apprese da sempre? è chiaro infatti che è o non è uomo per tutto il tempo.

MENONE: è evidente.

SOCRATE: Se la verità delle cose che sono l'abbiamo sempre nell'anima, non dovrebbe dunque essere immortale l'anima, per cui tu con coraggio ciò che ora ti trovi a non sapere - vale a dire ciò che non ricordi - devi accingerti a cercarlo e a ricordarlo?

MENONE: Mi sembra che tu abbia ragione, Socrate, non so come.

SOCRATE: Anche a me sembra così, o Menone. E in verità sugli altri punti non insisterei particolarmente a sostegno del mio ragionamento; quanto invece all'idea che noi, se fossimo convinti di dover cercare ciò che non sappiamo, potremmo essere migliori, più virili e meno pigri di quanto lo saremmo se pensassimo che ciò che non sappiamo non è possibile trovarlo e neppure bisogna cercarlo, questa idea la sosterrei energicamente, se ne fossi capace, e con le parole e coi fatti.

MENONE: Anche su questo mi sembra che parli bene, o Socrate.

SOCRATE: Vuoi dunque, giacché siamo d'accordo che bisogna cercare ciò che non si sa, che tentiamo insieme di ricercare cosa mai sia la virtù?

MENONE: Certamente. Nondimeno, o Socrate, io per parte mia gradirei moltissimo indagare e ascoltare ciò che ti chiedevo appunto prima, (46) se dobbiamo dedicarci a questo come a una cosa che si possa insegnare oppure se la virtù sia presente negli uomini per natura o in qualche altro modo.

SOCRATE: Ma se io, Menone, avessi potere non solo su di me ma anche su di te, non indagheremmo se la virtù sia insegnabile o non sia insegnabile, prima di aver cercato che cosa essa sia: tuttavia, dato che non fai nessun tentativo di comandare a te stesso, per essere libero, e cerchi invece di comandare su di me e comandi, cederò - e difatti che dovrei fare? - Sembra dunque che bisogna esaminare di quale natura sia una cosa che non sappiamo cosa sia; cedimi almeno una piccola parte del tuo comando e concedimi di esaminare per ipotesi se la virtù possa essere insegnata o no. Dico "per ipotesi" nel modo in cui i geometri spesso fanno le loro ricerche, quando qualcuno li interroga, per esempio a proposito di una figura, se questa figura triangolare possa essere iscritta in determinato cerchio, la risposta sarebbe: «Non so ancora se questa figura abbia questa proprietà, ma credo sia di qualche vantaggio alla questione fare un'ipotesi di tal genere: se quest'area è tale per cui, costruendo lungo la sua linea data, manca di una superficie simile a quella che sia stata costruita, il risultato è, a mio avviso, di un certo tipo, di un altro tipo se è impossibile che si verifichino queste situazioni. (47) Voglio dunque per ipotesi dirti ciò che accade riguardo all'iscrizione di quest'area nel cerchio, se sia o meno possibile». E così faremo anche noi riguardo alla virtù, dato che non sappiamo né cosa essa sia né quale sia, esaminiamo per ipotesi questa stessa cosa, se possa o meno essere insegnata, dicendo così: se la virtù è di una certa natura tra le cose che riguardano l'anima, sarebbe insegnabile o non insegnabile?

Innanzi tutto, se è altra cosa o simile alla scienza, è insegnabile o no?

Oppure, come dicevamo poco fa, si può ricordare - non fa nessuna differenza per noi se ci serviamo di un nome o di un altro - ma quindi è insegnabile? O è chiaro a tutti che all'uomo non si insegna nient'altro che la scienza?

MENONE: A me sembra.

SOCRATE: Se dunque la virtù è una scienza, è chiaro che potrebbe essere insegnata.

MENONE: Come no?

SOCRATE: Ebbene, di questo punto ci siamo sbarazzati presto, del fatto cioè che se è scienza è insegnabile, altrimenti non lo è.

MENONE: Certo.

SOCRATE: Dopo questo punto bisogna, come sembra, esaminare se la virtù sia una scienza o diversa dalla scienza.

MENONE: Anch'io credo che bisogna esaminare, dopo l'altra, questa questione.

SOCRATE: Allora? Non diciamo forse che la virtù è un bene, e non resta salda per noi questa ipotesi, che la virtù è un bene?

MENONE: Certamente.

SOCRATE: Se c'è dunque qualche altro bene separato dalla scienza, è possibile che la virtù non sia una scienza; ma se non esiste nessun bene che la scienza non comprenda in sé, supponendo che la virtù sia una scienza, faremmo una giusta supposizione.

MENONE: è così.

SOCRATE: E dunque, è per la virtù che siamo buoni?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Ma se siamo buoni siamo utili: infatti tutto ciò che è buono è utile. Non è vero?

MENONE: Sì.

SOCRATE: E dunque anche la virtù è utile?

MENONE: Necessariamente, in base a ciò che abbiamo convenuto.

SOCRATE: Consideriamo dunque, prendendole punto per punto, quali cose ci sono utili. La salute, noi diciamo, la forza, la bellezza e la ricchezza.(48) Sosteniamo che queste e altre cose ci sono utili. Non è vero?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Tutte queste cose però affermiamo che a volte sono anche dannose. Tu dici diversamente oppure così?

MENONE: No, dico così.

SOCRATE: Osserva: che cosa guida ciascuna di queste cose quando sono utili e che cosa quando ci danneggiano? Non sono forse utili quando c'è un giusto impiego, e dannose quando non c'è?

MENONE: Certamente.

SOCRATE: Inoltre esaminiamo anche le cose che concernono l'anima. C'è qualcosa che chiami temperanza, giustizia, coraggio, capacità di apprendere, memoria, generosità e tutte le altre qualità di questo tipo?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Osserva allora, tra queste cose, quelle che pensi non siano scienza, ma altra cosa dalla scienza non danneggiano a volte, mentre a volte sono utili? Ad esempio il coraggio, se il coraggio non è assennatezza, ma una sorta di ardimento: non accade forse che quando un uomo è audace senza intelletto viene danneggiato, mentre quando lo è con intelligenza ne riceve utilità?

MENONE: Sì.

SOCRATE: E non è lo stesso per la temperanza e per la facilità di imparare, cioè, se apprese e preparate con l'intelligenza, sono utili, mentre senza intelligenza sono dannose?

MENONE: Assolutamente.

SOCRATE: In sintesi, non è forse vero che tutte le azioni intraprese e perseguite dall'anima sotto la guida dell'intelligenza finiscono nella felicità, mentre sotto la guida della stoltezza, si concludono nella situazione contraria?

MENONE: Così sembra.

SOCRATE: Se dunque la virtù è una delle cose che si trovano nell'anima ed è inevitabile che sia utile, deve essere intelligenza: dato che appunto tutte queste cose che concernono l'anima per se stesse non sono né utili né dannose, ma, se accompagnate dall'assennatezza o dalla stoltezza diventano utili e dannose. In base a questo ragionamento dunque, poiché la virtù è utile, deve essere una sorta di assennatezza.

MENONE: Mi pare.

SOCRATE: Ora, anche le altre cose che dicevamo poco fa, (49) la ricchezza e cose di tal genere, a volte sono buone e a volte dannose, come per il resto dell'anima, cioè la guida dell'assennatezza rende utili le qualità dell'anima, mentre la stoltezza le rende cattive; allo stesso modo l'anima, se si serve di queste qualità e le guida correttamente, non le rende dunque utili, e non le rende invece nocive se non le usa e non le guida correttamente?

MENONE: Certo.

SOCRATE: E l'anima assennata le guida correttamente, mentre quella stolta in maniera sbagliata?

MENONE: è così.

SOCRATE: E in generale è possibile dire che nell'uomo tutte le altre cose dipendono dall'anima, mentre le cose dell'anima stessa dipendono dall'assennatezza, se devono essere buone: e in base a questo ragionamento l'utile sarebbe assennatezza; ma affermiamo che la virtù è utile?

MENONE: Certo.

SOCRATE: Dunque diciamo che la virtù è assennatezza o in tutto o in una parte?

MENONE: Io penso che queste parole siano ben dette, o Socrate.

SOCRATE: Se dunque le cose stanno così, i buoni non sarebbero tali per natura?

MENONE: Non mi pare.

SOCRATE: E infatti il risultato sarebbe all'incirca questo: se i buoni fossero tali per natura, tra noi ci sarebbero persone capaci di riconoscere tra i giovani i buoni per natura e noi, sulla base della loro indicazione, li prenderemmo in consegna e li custodiremmo nell'acropoli, sigillandoli molto più che l'oro, perché nessuno li guasti e, giunti alla maturità, possano essere utili alle città.

MENONE: Certo è possibile.

SOCRATE: E allora, dal momento che i buoni non sono buoni per natura, lo sono forse per insegnamento?

MENONE: A questo punto mi sembra inevitabile: secondo l'ipotesi fatta, o Socrate, è chiaro che se la virtù è una scienza può essere insegnata.

SOCRATE: Forse, per Zeus: ma non facemmo male ad accordarci su questo punto?

MENONE: Eppure poco fa sembrava che fosse ben detto.

SOCRATE: Ma non deve sembrare ben detto soltanto poco fa, bensì anc he adesso e in futuro, se almeno qualcosa di questo ragionamento deve essere corretto.

MENONE: E allora? Guardando a cosa disdegni ciò e dubiti che la virtù sia una scienza?

SOCRATE: Te lo dirò, o Menone. In effetti che essa sia insegnabile, se davvero è scienza, non lo metto in dubbio, è ben detto; ma, rifletti se non ti sembra che io abbia ragione di dubitare che non sia scienza. Dimmi allora: se una qualsivoglia cosa è insegnabile, non soltanto la virtù, non è necessario che di quella cosa esistano maestri e discepoli?

MENONE: Sì, lo penso.

SOCRATE: E viceversa, ciò di cui non esistano né maestri né discepoli, non faremmo bene a congetturare che non sia insegnabile?

MENONE: è così; ma non pensi che esistano dei maestri di virtù?

SOCRATE: Certo è che nella continua ricerca di qualcuno che sia maestro di virtù, pur facendo di tutto, non riesco a trovarne. Eppure cerco insieme a molti, e soprattutto con coloro che ritengo particolarmente esperti in materia. Ma ecco, Menone, al momento opportuno ci si è venuto a sedere accanto Anito (50) qui presente: rendiamolo partecipe della ricerca. E a buon diritto lo renderemmo partecipe: perché questo Anito innanzi tutto è figlio di un padre ricco e saggio, Antemione, il quale diventò ricco non per caso o per donazione di qualcuno, come di recente Ismenia tebano, che ha preso le ricchezze di Policrate,(51) ma che la ricchezza se l'è acquistata con la sua saggezza e la sua applicazione; in secondo luogo per il resto non ha l'aria di essere un cittadino arrogante, ampolloso e insopportabile, ma un uomo disciplinato e ammodo; inoltre ha allevato ed educato bene costui, a giudizio del popolo ateniese: e difatti lo sceglie per le cariche più elevate. (52) è giusto dunque con uomini di tal fatta cercare maestri di virtù, se esistano o meno e chi siano. Suvvia, Anito, aiutaci, me e il tuo ospite (53) Menone qui presente, a cercare riguardo a questa cosa, chi potrebbero esserne maestri. Rifletti dunque così: se noi volessimo che Menone qui diventasse un buon medico, da quali maestri lo manderemmo? Non lo manderemmo forse a dei medici?

ANITO: Certamente.

SOCRATE: E se volessimo che diventasse un buon calzolaio, non lo manderemmo dai calzolai?

ANITO: Sì.

SOCRATE: E così per il resto?

ANITO: Certo.

SOCRATE: E così dimmi, ancora su questi stessi argomenti: a mandarlo dai medici, come noi affermiamo, faremmo bene, poiché vogliamo che diventi medico; ora, quando diciamo questo, non vogliamo dunque dire che saremmo saggi a mandarlo da costoro, persone che esercitano quest'arte piuttosto che mandarli da coloro non lo fanno, e da persone che si fanno pagare per questo, dichiarandosi maestri di chi voglia andare e imparare? Non è dunque avendo ben presente tutto questo che faremmo bene a mandarlo?

ANITO: Sì.

SOCRATE: Dunque è lo stesso anche riguardo alla flautistica e alle altre arti? è una grande follia, se si desidera fare di qualcuno un flautista, non volerlo mandare da coloro che promettono di insegnare la tecnica e che si fanno pagare, e dare invece fastidio ad altri, cercando di imparare da persone che non pretendono di essere maestri e che neppure hanno alcun allievo di questa disciplina che, nelle nostre pretese, da loro deve apprendere colui che mandiamo.

Non ti sembra una grande sconsideratezza?

ANITO: Sì, per Zeus, e inol tre anche ignoranza!

SOCRATE: Dici bene. Ora dunque puoi decidere con me riguardo al nostro ospite Menone. Costui infatti, o Anito, da tempo mi dice che desidera questa sapienza e virtù, grazie alle quali gli uomini governano bene le case e le città, si prendono cura dei loro genitori, sanno accogliere e congedare cittadini e stranieri in modo degno di un uomo perbene. Perché apprenda (54) questa virtù dunque esamina da chi faremmo bene a mandarlo. Non è chiaro, in base al ragionamento che abbiamo fatto poco fa, che dovremmo mandarlo da coloro che pretendono di essere maestri di virtù e che si proclamano maestri comuni dei Greci, per chiunque voglia imparare, avendo per questo stabilito un compenso e facendosi pagare?

ANITO: E chi sono costoro di cui parli, o Socrate?

SOCRATE: Sicuramente anche tu sai che essi sono coloro che la gente chiama sofisti.

ANITO: Per Eracle, non dire parole di cattivo augurio, Socrate! Nessuno, né tra i miei familiari né tra i miei amici, né cittadino né straniero, incorra in tal follia da andare a farsi rovinare da costoro, dato che essi sono un'evidente rovina e sciagura per coloro che li frequentano.

SOCRATE: Come dici, Anito? Questi soltanto, tra coloro che pretendono di saper in qualche modo rendere servigi, si distinguono tanto dagli altri che non soltanto non sono utili, come gli altri, in ciò che venga loro affidato, ma anzi, al contrario, ne provocano la rovina? E per questo ritengono giusto esigere apertamente denaro? Ebbene, io non posso crederti. So infatti che un uomo solo, Protagora, (55) ha guadagnato da questa sapienza più denaro di Fidia, (56) che pure era l'autore di opere così splendidamente belle, e di altri dieci scultori. è davvero una mostruosità quello che tu dici, se da una parte coloro che lavorano scarpe vecchie e rammendano vecchi mantelli non potessero passare inosservati trenta giorni restituendo i mantelli e le scarpe più malridotti di quando li avevano ricevuti, mentre se facessero cose simili, morirebbero immediatamente di fame, e invece Protagora avrebbe guastato, restando inosservato in tutta quanta la Grecia, coloro che lo frequentavano, congedandoli più miseri di quando li aveva ricevuti, per più di quarant'anni - credo infatti che egli sia morto più o meno a settant'anni, trascorrendo quarant'anni nell'esercizio della sua arte - e in tutto questo tempo, ancora fino a oggi, non ha mai smesso di essere stimato, e non solo Protagora, ma anche moltissimi altri, alcuni nati prima di lui, altri che vivono ancora. Diciamo allora, in base al tuo discorso, che essi ben sapendo ingannano e rovinano i giovani, (57) oppure essi stessi non se ne avvedono? E in questo modo dobbiamo pensare che siano pazzi costoro, che alcuni dicono essere i più saggi degli uomini?

ANITO: Sono ben lungi dall'essere pazzi, o Socrate, ma molto più pazzi sono quei giovani che danno loro denaro, ma ancora di più le persone che li affidano a loro, i parenti, ma più di tutti le città, che permettono loro di entrare e non li cacciano, stranieri o cittadini, se tentano di fare un mestiere del genere.

SOCRATE: Qualche sofista ti ha fatto un torto, Anito, o perché sei così ostile nei loro confronti?

ANITO: Per Zeus, io non ho mai frequentato nessuno di loro né permetterò di farlo a nessuno dei miei.

SOCRATE: Allora sei assolutamente inesperto di questi uomini?

ANITO: E voglia il cielo che io sia così!

SOCRATE: Come potresti dunque, o divino, sapere di questa cosa, se ha in sé qualcosa di buono o di cattivo, se ne sei completamente inesperto?

ANITO: Facile! Costoro infatti io so chi sono, che io abbia o non abbia esperienza di loro.

SOCRATE: Forse sei un indovino, o Anito; poiché mi chiederei meravigliato, da ciò che tu stesso dici, come tu possa sapere di loro altrimenti. Ma infatti non cerchiamo chi siano questi che, se li frequentasse, potrebbero guastare Menone - e costoro, se lo desideri, siano pure i sofisti - ma dicci invece gli altri e rendi un servigio a questo amico di famiglia, dicendogli da chi andare in questa città tanto grande per diventare famoso nella virtù che ti ho esposto or ora.

ANITO: Perché non glielo hai detto tu?

SOCRATE: Ebbene, io gli indicai coloro che credevo maestri di queste cose, ma si dà il caso che io dica sciocchezze, come tu affermi, e forse hai ragione. Allora di' tu, per parte tua, da quali Ateniesi deve andare: fa' il nome di chi vuoi.

ANITO: Perché deve sentire il nome di un solo uomo? Infatti con chiunque si imbatta tra gli Ateniesi galantuomini non ce n'è nessuno che non lo renderà migliore di quanto potrebbero i sofisti, se vuole prestare ascolto.

SOCRATE: Questi galantuomini diventarono tali per caso, senza aver imparato da nessuno, ed essendo nonostante ciò in grado di insegnare agli altri queste cose che essi stessi non impararono?

ANITO: Essi, io penso, hanno imparato dai predecessori, che erano dei galantuominì: o forse tu non pensi che in questa città ci siano stati molti uomini perbene?

SOCRATE: Io per parte mio credo, o Anito, che qui ci siano buoni politici e ce ne sono stati in passato non meno che nel presente.

Ma sono forse stati anche buoni maestri della loro virtù? Questo è infatti il problema intorno al quale si sta svolgendo il nostro discorso: noi stiamo esaminando non se qui vi siano o non vi siano uomini virtuosi e neppure se siano esistiti in passato, ma se la virtù possa essere insegnata. Nel fare questa ricerca indaghiamo se gli uomini virtuosi, sia tra quelli di adesso sia tra quelli del passato, conoscevano questa virtù della quale essi stessi erano dotati e se sapevano trasmetterla ad altri, oppure se questa virtù non possa essere trasmessa ad un uomo né essere ricevuta da altri: questo è ciò che da tempo ricerchiamo io e Menone. Sulla base del tuo discorso rifletti dunque così: Temistocle (58) non diresti che sia stato un uomo virtuoso?

ANITO: Sì, e tra tutti in modo particolare.

SOCRATE: E quindi anche un buon maestro, se mai qualcun altro fu maestro della propria virtù?

ANITO: Penso di sì, se l'avesse voluto almeno.

SOCRATE: Ma, pensi, non avrebbe voluto che qualche altro diventasse galantuomo, e soprattutto suo figlio? Oppure pensi che fosse invidioso di lui e che deliberatamente non gli trasmettesse la virtù della quale egli stesso era dotato? Non hai sentito dire che Temistocle insegnò al figlio Cleofanto ad essere un buon cavaliere? Ad esempio rimaneva dritto e fermo sul cavallo e stando dritto lanciava giavellotti ed eseguiva molti altri movimenti straordinari che il padre gli aveva insegnato e nei quali lo aveva reso abile, tutti quegli esercizi che dipendevano da abili maestri. O non hai sentito fare dai vecchi questi racconti?

ANITO: L'ho sentito.

SOCRATE: Non si potrebbe dunque considerare cattiva la natura di suo figlio.

ANITO: Forse no.

SOCRATE: E perché dunque questo? Hai mai sentito dire da qualcuno, giovane o vecchio, che Cleofanto figlio di Temistocle divenne uomo virtuoso e saggio nelle cose in cui lo era il padre?

ANITO: No davvero.

SOCRATE: E allora pensiamo che egli volesse educare suo figlio in queste cose, mentre nella saggezza, della quale egli stesso era dotato, non volesse renderlo migliore dei suoi vicini, se davvero la virtù era insegnabile?

ANITO: Forse no, per Zeus.

SOCRATE: Costui dunque, a tuo giudizio, è un maestro di virtù tale che, per tua stessa ammissione, rientra nel novero dei migliori del passato. Ma esaminiamo ora un altro, Aristide (59) figlio di Lisimaco: o non sei d'accordo che egli sia stato un virtuoso?

ANITO: Sì, senza dubbio.

SOCRATE: E anche lui, non educò suo figlio Lisimaco,(60) in tutto ciò che richiede dei maestri, nella maniera più splendida tra gli Ateniesi, e tuttavia pensi che lo abbia reso più virtuoso di chiunque altro? Infatti in qualche modo lo hai anche frequentato e vedi quale uomo egli sia. Ma se vuoi, Pericle, (61) uomo così straordinariamente saggio, sai che allevò due figli, Paralo e Santippo?

ANITO: Sì.

SOCRATE: Ebbene, a costoro, come sai anche tu, insegnò a cavalcare e non erano inferiori a nessuno degli Ateniesi, li educò nella musica, nella lotta e nelle altre discipline che richiedono tecnica, e non erano inferiori a nessuno: forse che non voleva fame degli uomini virtuosi? Lo voleva, io penso, ma temo che questo non possa essere insegnato. E perché tu non pensi che pochi e i più mediocri tra gli Ateniesi non siano stati capaci in questo ambito, considera che Tucidide, (62) anche lui, allevò due figli, Melesia e Stefano, e li educò bene nelle altre discipline, e nella lotta furono i migliori tra gli Ateniesi - uno infatti lo affidò a Xantia, mentre l'altro a EudoroSad63) questi godevano della fama di migliori lottatori di quel tempo - o non ricordi?

ANITO: Sì, l'ho sentito dire.

SOCRATE: Ebbene, non è dunque chiaro che costui non avrebbe insegnato ai suoi figli ciò il cui insegnamento comportasse delle spese, e d'altra parte non avrebbe non insegnato ciò che, senza richiedere spese, li avrebbe resi virtuosi, qualora la virtù fosse stata insegnabile?

Forse Tucidide era un uomo dappoco e non aveva moltissimi amici tra gli Ateniesi e tra gli alleati? Apparteneva a una grande famiglia e deteneva un grande potere nella città e tra gli altri Greci, al punto che, se la virtù fosse stata insegnabile, avrebbe trovato chi avrebbe reso i suoi figli virtuosi, o tra la gente del posto o tra gli stranieri, nel caso che lui stesso non avesse tempo per via delle sue cure politiche.

Ma infatti, o Anito, amico mio, temo che la virtù non sia insegnabile.

ANITO: O Socrate, mi sembra che tu abbia una certa facilità a parlar male della gente. Quindi io ti consiglierei, se vuoi prestarmi fede, di stare attento: forse anche in un'altra città è facile fare del male o del bene alla gente, ma in questa è addirittura facilissimo e penso che lo sappia anche tu.

SOCRATE: Menone, ho l'impressione che Anito sia adirato e non me ne meraviglio: per prima cosa pensa che io stia parlando male di costoro, poi ritiene di essere anche lui uno di essi. Ma se mai saprà cosa vuol dire parlar male, smetterà la sua irritazione; ora però lo ignora. Dimmi, non ci sono anche tra voi dei galantuomini?

MENONE: Certamente.

SOCRATE: Ebbene? Vogliono essi offrirsi come maestri per i giovani, e sono d'accordo di essere dei maestri e che la virtù può essere insegnata?

MENONE: No, per Zeus, o Socrate, ma a volte potresti sentirli dire che la virtù è insegnabile, a volte invece che non lo è.

SOCRATE: Potremmo allora affermare che sono maestri di questa cosa persone che non sono neppure d'accordo tra loro su questo stesso punto?

MENONE: Non mi sembra, Socrate.

SOCRATE: E allora? Questi sofisti, che sono appunto i soli a professarlo, ti sembra che siano maestri di virtù?

MENONE: Di Gorgia, o Socrate, amo soprattutto questo, che non potresti mai sentirgli fare tale promessa, e anzi ride addirittura degli altri quando li sente fare promesse: egli ritiene di dover solo rendere terribilmente abili nel parlare.

SOCRATE: Dunque neppure tu pensi che i sofisti siano dei maestri?

MENONE: Non so dire, o Socrate. Anche a me infatti capita appunto ciò che capita alla maggior parte delle persone: a volte mi sembra di sì a volte di no.

SOCRATE: Sai che non solo tu ma anche gli altri politici pensano ora che la virtù sia insegnabile ora che non lo sia, ma sai che anche il poeta Teognide (64) diceva queste stesse cose?

MENONE: In quali versi?

SOCRATE: Nelle elegie, dove dice: «e accanto a loro bevi e mangia, e con loro siedi, e cerca di essere gradito a coloro che hanno grande potere perché dai nobili imparerai nobili cose; ma se coi malvagi ti mescoli, perderai anche il senno che hai». (65) Noti che sugli stessi punti cade in contraddizione con se stesso?

MENONE: è evidente, certo.

SOCRATE: E in altre, passando poco oltre, «se il pensiero fosse costruito», dice, «e si potesse introdurre nell'uomo» dice all'incirca che «raccoglierebbero molti e grandi compensi» coloro che sono capaci di farlo, e «mai da un padre virtuoso nascerebbe figlio cattivo, (66) se obbedisce a saggi consigli. Ma con gli insegnamenti non farai mai del cattivo un uomo virtuoso». Noti che egli cade di nuovo sugli stessi argomenti in contraddizione con se stesso?

MENONE: è evidente.

SOCRATE: Puoi dunque citare qualche altra cosa della quale, coloro che vanno dicendo di esserne maestri, non solo per comune ammissione non ne sono maestri per gli altri, ma neppure ne hanno loro stessi conoscenza, anzi sono inetti proprio nella disciplina di cui dicono di essere maestri, mentre coloro che sono considerati galantuomini dicono a volte che può essere insegnata e a volte che non può esserlo? Persone così confuse su qualsivoglia argomento puoi dire che sono propriamente maestri?

MENONE: Per Zeus, no.

SOCRATE: Se dunque né i sofisti né gli stessi galantuomini sono maestri di questa cosa, non è evidente che non potrebbero esserlo altri?

MENONE: Non mi pare.

SOCRATE: E se non ci sono maestri non ci sono neppure discepoli?

MENONE: Mi sembra che le cose stiano come dici.

SOCRATE: Non abbiamo convenuto che una cosa della quale non esistono né maestri né discepoli non può essere insegnata?

MENONE: Abbiamo convenuto così.

SOCRATE: Ma non compaiono da nessuna parte maestri di virtù?

MENONE: è così.

SOCRATE: Se la virtù non ha maestri, non ha neppure discepoli?

MENONE: Sembra così.

SOCRATE: Dunque la virtù non sarebbe insegnabile?

MENONE: Sembra di no, se davvero abbiamo fatto un'analisi giusta. Cosicché, o Socrate, mi chiedo anche meravigliato se mai esistano galantuomini o, se esistono dei virtuosi, quale sia la natura della genesi del divenire virtuosi.

SOCRATE: C'è il rischio, o Menone, che tu ed io siamo degli incapaci e che Gorgia non abbia educato sufficientemente te, e Prodico me. (67) Bisogna dunque soprattutto rivolgere la mente a noi stessi e cercare qualcuno che ci renderà in qualche modo migliori; dico questo dopo aver rivolto lo sguardo alla ricerca che abbiamo fatto poco fa, in che modo ridicolo ci è sfuggito che non vengono compiute correttamente e bene soltanto sotto la guida della scienza le azioni umane, e perciò forse non riusciamo a sapere in che modo si formino gli uomini virtuosi.

MENONE: Che vuoi dire con questo, o Socrate?

SOCRATE: Ecco: che gli uomini onesti debbano essere utili, e abbiamo ammesso (68) a ragione che non potrebbe essere altrimenti: o no?

MENONE: Sì.

SOCRATE: E che saranno utili, se dirigeranno correttamente i nostri affari, abbiamo giustamente ammesso anche questo?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Ma la nostra ammissione secondo la quale non è possibile guidare rettamente i nostri affari se manca la ragione, pare che non sia stata corretta.

MENONE: Come dici?

SOCRATE: Te lo dirò. Se un tale, conoscendo la strada per Larisa (69) o per qualsiasi altro luogo tu voglia, vi si recasse e vi conducesse altre persone, non li guiderebbe forse correttamente e bene?

MENONE: Certo.

SOCRATE: Bene, e se uno ha una giusta opinione di quale sia la strada, senza esserci mai stato e senza neppure conoscerla, non li guiderebbe anche costui correttamente?

MENONE: Indubbiamente.

SOCRATE: E finché ha una giusta opinione su ciò su cui l'altro ha conoscenza, se pensa la verità, pur non conoscendola, non sarà affatto una guida peggiore di chi ne ha intelligenza.

MENONE: No, per nulla.

SOCRATE: Un'opinione vera non è affatto una guida peggiore dell'intelligenza per quel che concerne la correttezza delle azioni: e questo è ciò che poco fa tralasciammo, nella nostra indagine sulla virtù, vale a dire di quale natura essa sia, quando dicevamo che l'intelligenza soltanto guida il giusto agire; e invece c'era da considerare anche l'opinione vera.

MENONE: Almeno sembra.

SOCRATE: E una retta opinione non è per nulla meno utile della scienza.

MENONE: Con questa differenza, Socrate: chi ha la scienza riesce sempre, chi ha la giusta opinione a volte riesce e a volte no.

SOCRATE: Come dici? Colui che ha sempre una giusta opinione non sempre riesce, fin tanto che abbia giuste opinioni?

MENONE: Mi sembra inevitabile: perciò, Socrate, mi meraviglio, stando così la cosa, che la scienza sia molto più apprezzata della giusta opinione e mi chiedo perché siano distinte l'una dall'altra.

SOCRATE: Sai dunque il perché del tuo stupore, o devo dirtelo io?

MENONE: Certo, dimmelo.

SOCRATE: Perché non hai prestato attenzione alle statue di Dedalo;(70) ma forse neppure ci sono da voi.

MENONE: A che proposito mi fai questo discorso?

SOCRATE: Perché queste statue, se non sono legate, prendono la fuga e se la svignano, se invece sono legate, restano ferme.

MENONE: E allora?

SOCRATE: Possedere una delle statue di Dedalo che sia slegata non è di grande valore, è come possedere uno schiavo che fugge - infatti non se ne sta fermo -; se invece è legata vale molto: perché queste opere sono molto belle. A proposito di cosa sto dicendo questo? A proposito delle opinioni vere. Infatti anche le opinioni vere per tutto il tempo in cui restano salde sono un bel tesoro e realizzano ogni bene. Ma esse non vogliono rimanere salde per molto tempo, ma fuggono dall'anima dell'uomo, per cui non hanno grande valore, fin tanto che non siano legate con un ragionamento sulla causa. Questo, Menone, amico mio, è reminiscenza, come abbiamo ammesso prima nei nostri discorsi. Quando siano legate, diventano dapprima scienza e poi stabili: ed è per questo che la scienza è più apprezzata di una giusta opinione, e la differenza tra scienza e giusta opinione sta nella connessione.

MENONE: Per Zeus, Socrate, sembra così.

SOCRATE: Eppure anch'io parlo come uno che non sa, ma che congettura; ma che la giusta opinione e la scienza siano qualcosa di diverso non mi sembra proprio di affermarlo per congettura, al contrario, se c'è qualche altra cosa che potrei dire di sapere - ma sarebbero poche le cose da dire -, una sola, cioè questa, metterei tra le cose che so.

MENONE: Ed è giusto ciò che dici, o Socrate.

SOCRATE: E allora? Non è giusto affermare che l'opinione vera, quando dirige l'operato di ogni azione, non porta a termine nulla peggio della scienza?

MENONE: Anche su questo mi sembra che tu dici il vero.

SOCRATE: Una giusta opinione non sarà dunque né peggiore né meno utile della scienza, per quello che concerne le azioni, né lo sarà un uomo che ha una giusta opinione rispetto a colui che ha la scienza.

MENONE: è così.

SOCRATE: Eppure abbiamo ammesso che l'uomo virtuoso è utile.

MENONE: Sì.

SOCRATE: Dato dunque che non solo per la scienza gli uomini sono virtuosi e utili per le città, se davvero ve ne sono, ma anche per la giusta opinione, nessuna di queste due cose gli uomini hanno per natura, né la scienza né la giusta opinione non acquisite - oppure ti sembra che o l'una o l'altra essi l'abbiano per natura?

MENONE: No, non lo penso.

SOCRATE: Dunque, dal momento che non l'hanno per natura, neppure i virtuosi sono tali per natura.

MENONE: No, certo.

SOCRATE: E dal momento che non lo sono per natura, noi passammo poi ad esaminare se la virtù fosse insegnabile.

MENONE: Sì.

SOCRATE: E non sembrò insegnabile, se la virtù è intelligenza?

MENONE: Sì.

SOCRATE: E non risultò che, se fosse insegnabile, sarebbe intelligenza?

MENONE: Certamente.

SOCRATE: E che, se esistessero dei maestri, sarebbe insegnabile, mentre se non ne esistono non è insegnabile?

MENONE: è così.

MENONE: Ma in realtà non abbiamo ammesso che non esistono maestri di essa?

MENONE: è così.

SOCRATE: Abbiamo ammesso che non è insegnabile né è intelligenza.

MENONE: Certo.

SOCRATE: Ma ammettiamo che essa sia un bene?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Utile e buono è ciò che guida rettamente?

MENONE: Certo.

SOCRATE: A guidare rettamente sono solo queste due cose, la vera opinione e la scienza, e l'uomo che le possiede guida rettamente (le cose che avvengono per un caso non avvengono infatti sotto una guida umana), mentre le cose delle quali l'uomo è guida verso ciò che è giusto sono due, l'opinione vera e la scienza.

MENONE: Mi sembra così.

SOCRATE: Dal momento che non è insegnabile, la virtù non è più neppure scienza?

MENONE: Apparentemente no.

SOCRATE: Dunque di queste due cose che sono buone e utili una è andata, e la scienza non potrebbe essere una guida nell'azione politica.

MENONE: Non mi pare.

SOCRATE: Non è dunque per sapienza né perché erano sapienti, che tali uomini guidarono le città, i Temistocle e coloro di cui parlava poco fa Anito qui; ed è anche per questo che non furono capaci di rendere altri così come erano loro stessi, perché essi non erano tali per via della scienza.

MENONE: Sembra così come dici, o Socrate.

SOCRATE: Se dunque non per scienza, resta per una buona opinione; ed è ricorrendo a questa che gli uomini di stato governano bene le città, non differendo in nulla, per quel che concerne la saggezza, dai vaticinatori e dagli indovini: e infatti costoro, quando sono invasati, dicono spesso la verità, ma non sanno nulla di ciò che dicono.

MENONE: è possibile che sia così.

SOCRATE: Dunque, o Menone, è giusto chiamare divini questi uomini che, pur non avendo intelligenza, concludono felicemente molte e grandi imprese con l'azione e con la parola?

MENONE: Certo.

SOCRATE: Potremmo giustamente chiamare divini coloro che poco fa dicevamo vaticinatori e vati e tutti quanti i poeti; e non meno di costoro potremmo dire che sono divini i politici, e che sono invasati, quando sono ispirati e posseduti dal dio, allorché hanno successo nel dire molte grandi cose, senza sapere nulla di ciò che dicono.

MENONE: Certo.

SOCRATE: Anche le donne indubbiamente, Menone, chiamano divini gli uomini buoni; e i Lacedemonii, ogni volta che lodano qualcuno come uomo buono: «Costui è un uomo divino», dicono.

MENONE: E pare che abbiano ragione, o Socrate. Ma forse Anito qui presente è irritato con te per le tue parole.

SOCRATE: Non me ne importa niente. Con lui, o Menone, discuteremo un'altra volta; ma se noi ora, in tutto questo ragionamento, abbiamo condotto una buona ricerca e abbiamo parlato bene, la virtù non sarebbe né una dote naturale né acquisibile con l'insegnamento, ma in coloro nei quali è presente sopravviene per destino divino, senza intelletto, meno che tra gli uomini di stato non ci sia qualcuno tale da saper rendere buon politico anche un altro. Se esistesse, si potrebbe più o meno affermare di lui che tra i vivi è come Omero disse che era Tiresia tra i morti, quando di lui diceva che egli soltanto nell'Ade ha respiro, mentre gli altri si muovono come ombre. (71) E allo stesso modo anche qui, in rapporto alla virtù, tale uomo sarebbe come tra ombre una creatura reale.

MENONE: Mi sembra che il tuo discorso sia eccellente, o Socrate.

SOCRATE: Ebbene, da questo ragionamento, o Menone, la virtù ci appare presente per sorte divina in coloro nei quali sia presente; ma lo sapremo con certezza allora, quando, prima di cercare in che modo la virtù sia presente negli uomini, ci accingeremo a cercare la cosa in se stessa: che cosa mai sia la virtù. Ma adesso è tempo che io vada, tu però persuadi anche il tuo ospite, il qui presente Anito, di queste stesse cose delle quali tu appunto sei persuaso, affinché sia più calmo: se riuscirai a convincerlo, può essere che a tua volta renda un servigio agli Ateniesi.

NOTE:

1) Menone di Larisa in Tessaglia fu con i Diecimila che combatterono al fianco di Ciro il Giovane (cfr. Senofonte, Anabasi, libro 2, 6, 21-29) a Cunassa. Senofonte usa su di lui toni sprezzanti, definendolo avido di denaro e di onori, spergiuro e sleale. Condannato a morte da Artaserse secondo, fu mutilato e morì tra atroci sofferenze (cfr. Anabasis, libro 2, 6,29). Conobbe Gorgia durante un soggiorno di questi in Tessaglia e di lui divenne amico e discepolo.

2) Cfr. Platone, Protagoras 323c, dove in particolare si fa riferimento alla virtù politica.

3) Sulla abilità dei Tessali nel cavalcare vedi Erodoto, libro 7, 196; Senofonte, Historia Graeca, libro 6,1, 11; Platone, Leges 625d; Hippias maior 284a.

4) Della ricchezza dei Tessali si ha notizia anche da Isocrate, De pace, 117; Antidosis, 155. Nel Critone (53d) Platone accenna invece alla dissolutezza e alla sregolatezza che regnano in Tessaglia.

5) Aristippo di Larisa. Apparteneva alla nobile famiglia degli Alevadi che parteggiò per Serse durante la guerra persiana (Erodoto, libro 7, 6 e 172). Senofonte (Anabasis, libro 1, 1, 10) scrive che fu amico dì Ciro il Giovane e a lui legato da rapporti di ospitalità.

6) Il retore Gorgia nasce a Leontini intorno al 480 a.C. e muore in Tessaglia intorno al 375. Nel 427 viene inviato come ambasciatore dalla sua città ad Atene per chiedere aiuti contro i Siracusani. Di Gorgia sono conservati L'encomio di Elena e La difesa di Palamede, che illustrano le caratteristiche dello stile del retore e le cosiddette "figure gorgiane".

7) Cfr. Platone, Gorgias 447c.

8) Ad Atene.

9) In Tessaglia.

10) Gorgia si trovava sicuramente ad Atene nel 427 a.C. come ambasciatore della sua città.

11) Cfr. Tucidide, libro 6, 9,2; Platone, Protagoras 318e-319a.

12) Sul principio del trattamento diversificato da riservare agli amici e ai nemici cfr. per es. Omero, Odyssea libro 6, 184-185; Solone, frammento 1, 5-6 Gentili-Prato; Teognide, 337-338; 561- 562; 871-872, 1032-1033, 1089-1090, 1107-1108 (= 1318 a-b); Lisia, orazione 9, 20; Senofonte, Memorabilia libro 2, 1,19; libro 2, 6, 35; libro 3, 9,8; libro 4, 5,10; Anabasis libro 1, 9, 1; Cyropaedia, libro 8, 7, 28; Hiero 11, 15; Platone, Respublica, libri 1, 332a e seguenti; Hippias maior 304b. Sul tema cfr. M.W. Blundell, Helping Friends and Harming Enemies. A Study in Sophocles and Greek Ethics, Cambridge 1989; L. G. Mitchell, Friends and Enemies in Athenian Politics. I. New for Old: Friendship Networks in Athenian Politics, in «Greece and Rome» 43, 1996, pagina 11 e seguenti; P. J. Rhodes, Friends and Enemies in Athenian Politics. II. Personal Enmity and Political Opposition in Athens, ivi, pagine 21 e seguenti.

13) Ctr. Platone, Respublica libro 1, 353b.

14) Il termine "ousía" ha qui l'accezione di 'essenza', 'sostanza' ed è impiegato con la stessa valenza nel Fedone (65d; 78d; 92d), dove si identifica con il concetto platonico di idea, e nell'Eutifrone (6d; 11a).

15) Cfr. (71e) «...Ma non è difficile, o Socrate, dirlo. Per prima cosa, se vuoi considerare la virtù dell'uomo...»

16) Cfr. Platone, Gorgias 452d; 466b; 483d.

17) Questa virtù non è compresa nella lista delle virtù che Platone indica nel Protagora (330b; 349b; cfr. Euthydemus 279b-c; Phaedo 69c).

18) Cfr. (73e) «La virtù, o Menone, o una virtù?»...

19) Esponenti della scuola di Megara. L'eristica è un procedimento che aiuta a confutare i discorsi degli avversari. Cfr., Platone, Euthydemus 272b; Respublica 454a; Phaedo 91a; Gorgias 457c.

20) Prodico di Ceo, sofista contemporaneo di Socrate, nato probabilmente nel 465 e morto nel 400 a.C., scrisse le "Orai" (Ore o Stagioni) e un'opera "Perì phúseos" (Sulla natura). Viaggiò in molte città greche come ambasciatore e fu spesso ad Atene, dove offriva ai giovani che seguivano il suo insegnamento la possibilità di optare tra lezioni da un dracma e lezioni da cinquanta dracme. Le sue ricerche, tra le altre cose, vertevano sulla definizione dei sinonimi. Cfr. Platone, Hippias maior 282c.

21) Si intende la geometria piana e la geometria solida (stereometria).

22) La definizione è di Platone, criticata da Aristotele nei Topici 141b e seguenti (cfr. Metaphysica 1090b; 1028b).

23) Empedocle di Agrigento (492-432 a.C. circa) fu oratore e taumaturgo.

Subì probabilmente l'influsso della filosofia pitagorica (Diogene Laerzio, libro 8, 55). Sono conservati versi di un suo poema Sulla natura. Altri versi furono attribuiti da Diels al poema Purificazioni. Viene ricordato come maestro di Gorgia da Diogene Laerzio (libro 8, 58), Olimpiodoro (In Platonis Gorgiam 6, 17). e dal lessico Suida s.v. "Gorgías".

24) Queste parole furono rivolte da Pindaro a Ierone di Siracusa (frammento 105a, 1, Maehler).

25) Non è sicuro che questa definizione del colore sia empedoclea.

26) Allusione ironica allo stile di Gorgia, non certo preciso quale è invece la definizione che della figura si dà in geometria.

27) I Misteri sono quelli eleusinii. Sorti in origine come culto agricolo nella città di Eleusi, passano sotto il controllo di Atene, probabilmente già alla metà del settimo secolo a.C. Erano esclusi dalla partecipazione ai Misteri gli assassini e, per lo meno nella fase più antica, gli stranieri. I "mústai" ('Iniziati') passavano attraverso tre gradi di iniziazione: dalla iniziazione di grado minore ("múesis"), al rito preliminare ("teleté"), fino al rito supremo ("epopteía"). L'iniziazione alla quale Socrate chiama Menone a partecipare è ovviamente quella scientifica.

28) Si ignora l'identità dell'autore di questi versi. Potrebbe trattarsi di Simonide di Ceo (556-468), il quale fu alla corte di Ipparco, ad Atene e, dopo la cacciata di Ippia (510 a.C.), in Tessaglia, prima a Farsalo, ospitato dai nobili Scopadi, poi a Larisa, alla corte degli Alevadi. Simonide è citato da Platone nel Protagora (316d; 339a e seguenti). Si tratta tuttavia di una ipotesi.

29) Cfr. (77b) «... che la virtù sia, come dice il poeta, "godere di cose belle...»

30) I legami di Menone con la corte persiana passano attraverso un antenato (da qui l'uso dell'espressione "patricòs xénos") che, seguendo una tendenza attribuita ai Tessali, parteggiò per la Persia al tempo della guerra contro i Greci.

31) Cfr. (74a) «... Quali sono queste virtù...» e (78d)«...intendo tutti questi...».

32) Cfr. (77a) «...e smetti di fare molte cose di una sola...».

33) Cfr. Platone, Hippias maior 301b-c. 34) Cfr. (75b e seguenti) «....suvvia, cerchiamo di spiegarti che cos'è la figura...» 35) Cfr. Platone. Apologia Socratis 37d-e.

36) Continua l'immagine della torpedine che fa intorpidire chi la tocca.

37) Cfr. la nota 19.

38) Pindaro, frammento 133 Maehler.

39) Cfr. la nota 19.

40) Cfr. (80b) «...Sei capace di tutto Menone...».

41) Socrate traccia un quadrato avente un lato di due piedi. Passa poi a disegnare le linee che, partendo dal punto centrale di ciascun lato, dividono il quadrato in quattro quadrati uguali e, ovviamente, di dimensioni minori rispetto al primo. Prolungando poi di altri due piedi i lati del quadrato iniziale, disegna un quadrato maggiore, avente un lato di quattro piedi e un lato di otto piedi.

42) Non si tratta delle diagonali bensì delle linee tra loro perpendicolari che dividono in quattro aree uguali ii quadrato.

43) Il termine "sophistai" sta qui a indicare coloro che si intendono di un particolare argomento e conserva quindi il suo significato primario.

44) Il termine "diámetros" sta a indicare sia il diametro sia la diagonale.

45) Cfr. Platone, Respublica 476d.

46) Cfr. (70a) «Puoi dirmi, Socrate, se la virtù è insegnabile?...»

47) L'interpretazione del passo è controversa. Il problema concerne l'iscrizione in un cerchio di un'area data, in forma di triangolo. L'iscrizione è possibile se, prolungando un lato dell'area data fino a ottenere un'area simile all'area data, si arriva a tracciare il diametro del cerchio nel quale iscrivere l'area data in forma di triangolo. Presa ad esempio un'area ABCD e disegnando sul lato AB un'area simile BEFC, si ottiene il diametro AE del cerchio. Il triangolo AGC sarà appunto l'area data in forma di triangolo. Cfr. G. Cambiano, Dialoghi filosofici di Platone, Torino 1991.

48) Cfr. Platone, Euthydemus 279a; Gorgias 451e; Leges 631 e seguenti.

49) Cfr. (87e) «...Consideriamole dunque, prendendole punto per punto, quali cose ci sono utili. La salute...».

50) Anito era figlio di Antemione ed esercitava il mestiere di cuoiaio (il che spiega il riferimento al mestiere di calzolaio in 90c:«... e se volessimo che diventasse un buon calzolaio...»; cfr. Apologia Socratis 29-30). Partecipò alla vita politica ateniese seguendo la linea moderata di Teramene. Fu stratego nel 409 a.C. (Aristotele, Respublica Atheniensium, 27; Diogene Laerzio, libro 8, 64) e fallì nel tentativo di riconquistare Pi lo agli Spartani. Nel 404 occupò con Trasibulo il Pireo e partecipò alla battaglia di Munichia. Fu uno dei restauratori della democrazia dopo la sconfitta di Crizia e dei Trenta Tiranni. Nel 399 a.C. fu, con Meleto e Licone uno degli accusatori di Socrate. Le notizie sulla sua morte sono forse un'invenzione posteriore (Diodoro Siculo, libro 14, 37; Plutarco, De invidia et odio, 6; Diogene Laerzio, libro 2, 43).

51) Policrate fu tiranno di Samo dal 535 al 522 a.C. Fece di Samo una grande potenza navale, alleata con l'Egitto e con Cirene. Appoggiò tuttavia Cambise nella sua campagna contro l'Egitto. Ospitò nella sua corte personaggi dell'arte e della cultura, come Teodoro e Anacreonte, Ibico. Nel 522 il satrapo persiano di Lidia, Orete, lo attira a Magnesia sul Meandrio, in Asia Minore, fingendo di volerlo coinvolgere in una congiura contro Dario, ma lo fa catturare e crocifiggere. Cfr. Erodoto, libro 3, 39-56; 120-125; Tucidide, libro 1, 13. Ismenia di Tebe ricevette denaro dal re di Persia, per mano di Timocrate di Rodi, per indurre la sua città a dichiarare guerra a Sparta. Viene ucciso dagli Spartani nel 382 a.C. Per ragioni cronologiche è evidente che l'allusione all'oro di Policrate ha una mera valenza proverbiale.

52) Anito fu stratego nel 409 e nel 403 a.C.; cfr. la nota 50.

53) Cfr. 92d: «rendi un servigio a questo amico di famiglia...». Tra Menone e Anito esistono rapporti familiari.

54) C. G. Cobet propone di inserire nel testo un "mathesómenon".

55) Protagora di Abdera (486-411 a.C.) giunse ad Atene nel 444 e fu incaricato da Pericle di redigere un codice di leggi per la colonia panellenica di Turi. Nel 411 fu accusato da uno dei Quattrocento di empietà e lasciò Atene. La sostanza della sua dottrina è espressa nel detto «L'uomo è misura di tutte le cose».

56) Il celebre scultore ateniese nato intorno al 490 a.C. e morto in carcere nel 431, autore della Atena Promachos, inaugurata nel 438, della statua crisoelefantina di Zeus per il tempio di Olimpia e delle sculture del Partenone (Plutarco, Pericles 13, 4). Nel 432 gli fu intentato un processo con l'accusa di essersi appropriato parte dell'oro stanziato per la realizzazione della statua di Atena. Si trattò di un processo politico: l'accusa, come quelle rivolte ad Anassagora, a Protagora e ad Aspasia, mirava in realtà a colpire Pericle attraverso i suoi amici.

57) Socrate fu accusato di " oú nomízein toù theoús"('di non onorare gli dèi') e di "diaphtheírein toùs néous" ('guastare i giovani'). Cfr. Senofonte Memorabilia, libro 1, 1, 1; Platone, Apologia Socratis 24b; Diogene Laerzio, libro 2, 40.

58) Temistocle (528-462 a.C.) apparteneva alla nobile famiglia dei Licomidi. Fu arconte nel 493. Nel 482, dopo aver fatto ostracizzare il suo avversario Aristide, fece costruire il porto del Pireo, utilizzando le risorse del filone argentifero scoperto a Maronea, nel Laurio. Nel 480 fu l'artefice della vittoria sui Persiani a Salamina. Ostracizzato nel 471, raggiunse il Peloponneso e poi la corte di Artaserse re di Persia, che lo fece governatore di Magnesia. Qui Temistocle morì. Nel Gorgia, Platone accomuna Temistocle, Cimone, Milziade e Pericle(503c).

59) Stratego ad Atene nel 490-489, appoggiò Milziade a Maratona. Fu ostracizzato nel 482, ma rientrò ad Atene nel 481 e fu stratego per tre anni (480-479/478-477). Partecipò alla battaglIa di Salamina e comandò le truppe ateniesi a Platea.

60) Uno dei personaggi del dialogo Lachete.

61) Figlio di Santippo e di Agariste, nipote di Clistene di Sicione. Fu corego nella rappresentazione dei Persiani di Eschilo, nel 463 fu accusatore di Dimone nel processo per l'affare di Taso, detenne la strategia ininterrottamente dal 444/443 fino alla morte, che lo colpì nel 429, durante la grave pestilenza che colpì Atene. Prima del 444/443 ricoprì con molta probabilità altre strategie, se è vero, come dice Plutarco (Pericles 16, 3), che detenne il potere per quarant'anni.

62) Tucidide figlio di Melesia fu il più diretto avversario di Pericle e fu ostracizzato nel 443 (Plutarco, Pericles 11, 3). Fu uno dei Quattrocento del colpo di stato del 411 (Tucicidide, libro 8, 86).

63) Di questi due personaggi non si hanno altre notizie.

64) Sotto il nome di Teognide di Megara, poeta elegiaco il cui floruit è fissato dalla Suida al 544/541 a.C., ci sono pervenuti circa 1.400 versi.

Incerta l'identificazione della città natale. è detto da Platone (Leges 630a) cittadino di Megara di Sicilia. Lo scoliaste al passo platonico propone di identificare la Megara patria di Teagene con Megara Nisea (città tra l'Attica e l'Argolide), e di recuperare il rapporto di Teognide con Megara Iblea di Sicilia, supponendo che il poeta vi si sia recato in un dato momento della sua vita. Nonostante questa ipotesi sia stata abbracciata dai moderni e giudicata plausibile, resta l'impressione di un autoschediasma del commentatore di fronte alla confusione delle fonti.

Nelle elegie, dedicate al fanciullo amato dal poeta, Cirno, si fa riferimento a disordini sociali: se la Megara di Teognide è effettivamente Megara Nisea, si può allora supporre che tali disordini siano quelli che interessarono la città prima dell'ascesa del tiranno Teogene o immediatamente dopo l'abbattimento del suo potere.

65) Teognide, 33-36.

66) Teognide, 434-438.

67) Cfr. le note 6 e 20.

68) Cfr. 87b e seguenti:«Ma se siamo buoni siamo utili: infatti tutto ciò che è buono è utile...».

69) Città della Tessaglia.

70) Dedalo è, secondo alcune fonti, discendente di Cecrope, antico re dell'Attica. Esiliato da Atene per aver ucciso il proprio nipote, Talo, si rifugia a Creta, dove costruisce per Minosse il mitico Labirinto. Secondo Diodoro (libro 4, 76), Dedalo, che fu in effetti oltre che architetto autore di artifici meccanici, per primo realizzò statue "vive", nelle quali la rigidità degli "xóana" viene sostituita dal movimento impresso agli arti inferiori (cfr. Platone, Euthyphron llb; 15b; Hippias maior, 281e-282a; Ion, 533a).

71) Omero, Odyssea, libro 10, versi 494-495. Il verbo "pnúein" ha, nella similitudine proposta da Platone. il significato di 'respirare', 'essere vivo', per mettere in evidenza la condizione eccezionale, come di vivo tra morti, di un ipotetico politico capace di insegnare la virtù politica.

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