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Platone - Parmenide

«Diremo che l'una e l'altra di queste parti è soltanto parte, oppure dobbiamo chiamare la parte parte del tutto?»

«Parte del tutto».

«Ed è un tutto ciò che è uno, e ha parti».

«Certo».

«E allora? L'una e l'altra di queste parti dell'uno che è, l'uno e ciò che è, fanno forse tutte e due difetto, ovvero l'uno della parte di ciò che è, e ciò che è della parte dell'uno?» «Non può essere».

«A sua volta anche l'una e l'altra delle parti contengono sia l'uno, sia ciò che è, e la parte più piccola è il risultato di due parti, e secondo lo stesso discorso è sempre così , qualsiasi parte venga ad essere, sempre contiene queste due parti: l'uno infatti contiene sempre ciò che è, e ciò che è l'uno: sicché è inevitabile che, sdoppiandosi continuamente, non sia mai uno».

«Certamente».

«Così l'uno che è non sarà infinito per estensione numerica?» «Pare».

«Avanti, guarda ancora di qui».

«Dove?» «Diciamo che l'uno partecipa dell'essere, perciò è».

«Sì ».

«E per questo motivo l'uno che è risultò molteplice».

«Così ».

«E allora? L'uno preso in sé, che diciamo partecipare dell'essere, quando lo cogliamo con il pensiero, solo di per sé, senza ciò di cui diciamo che partecipi, si mostrerà come uno solo, oppure anche quello, preso da solo, coinciderà con i molti?» «Uno, se capisco».

«Consideriamo: è necessario che altro sia il suo essere, altro sia esso come uno, se è vero che l'uno non corrisponde all'essere, ma come uno partecipa dell'essere».

«è necessario».

«Dunque, se è diverso l'essere, diverso è l'uno, e non in quanto uno l'uno è diverso dall'essere, né in quanto essere l'essere è altro dall'uno, ma in quanto diverso e in quanto altro sono diversi fra loro».

«Certo».

«Sicché il diverso non è identico né all'uno, né all'essere».

«E come potrebbe?» «E dunque? Se di essi scegliamo quelli che vuoi, o l'essere e il diverso, o l'essere e l'uno, o l'uno e il diverso, per ogni scelta che facciamo, non scegliamo due cose a cui giustamente si può dare il nome di "ambedue"?» «Come?» «Così : si può dire "essere"?» «Si può».

«E a sua volta si può dire "uno"?» «Si può anche questo».

«Non si sono detti l'uno e l'altro?» «Sì ».

«Se dico "essere" e "uno", non li dico ambedue?» «Certo».

«Dunque se dico "essere" e "diverso" o "diverso" e "uno", in questo modo, non dico assolutamente in ogni caso ambedue?» «Sì ».

«Questi a cui abbiamo giustamente assegnato il nome di "ambedue", è possibile che siano ambedue, senza essere due?» «Non è possibile».

«Per questi che sono due, vi è un espediente tale che non sia uno l'uno e l'altro di questi due?» «No nessuno».

«Di questi, se è vero che ciascuno fa parte della diade, significa che ciascuno sarà anche uno».

«Così risulta».

«Se ciascuno di essi è uno, unendo un qualsiasi uno a una qualsiasi coppia, tutti insieme non danno luogo al tre?»

«Sì ».

«Il tre non è dispari e il due pari?» «Come no?» «E allora? Se vi è il due, non è necessario vi sia anche il due volte? E se c'è il tre, il tre volte, se è vero che al due appartiene il due volte l'uno, e al tre il tre volte l'uno?» «Necessariamente».

«Essendoci il due e il due volte, non è necessario vi sia il due volte due? Ed essendoci il tre e il tre volte, non è necessario vi sia il tre volte tre?» «Come no?» «E allora? Essendoci il tre e il due volte, il due e il tre volte, non è necessario vi sia il due volte tre e il tre volte due?» «è assolutamente necessario».

«Vi saranno numeri pari formati dal prodotto di numeri pari, e numeri dispari formati dal prodotto di numeri dispari, e numeri pari formati dal prodotto di numeri dispari, e numeri dispari formati dal prodotto di numeri pari».

«è così ».

«E se le cose stanno così , credi rimanga qualche numero che non sia necessario che sia?» «Nient'affatto».

«Se l'uno è, è necessario che anche il numero sia».

«è necessario».

«Ma se il numero esiste, allora vi saranno i molti, e una molteplicità infinita delle cose che sono: oppure il numero non diventa infinita molteplicità e non partecipa dell'essere?» «Certo».

«Dunque se tutto il numero partecipa dell'essere, anche ciascuna parte del numero ne prenderà parte?» « «Sì ». «L'essere si distribuisce in tutta la molteplicità delle cose che sono e non manca a nessuna di esse, né alla più piccola, né alla più grande? O è assurdo affermare una cosa del genere?

Infatti come l'essere può mancare alle cose che sono?» «Non può affatto».

«L'essere si divide in parti che sono le più piccole possibili e in quelle più grandi possibili, di ogni sorta dì cose, e più di tutte le altre cose esso si divide in parti, e le parti dell'essere sono infinite».

«è così ».

«Sono moltissime le sue parti?» «Moltissime, senza dubbio». «E allora? Vi è qualcuna di esse che è parte dell'essere, e non è nessuna parte?» «E come potrebbe essere?» «Ma se, come credo, tale parte è, è necessario che essa sempre, finché essa sia, sia una, ed è impossibile che essa sia il nulla». «Necessariamente».

«L'uno si unisce a ogni parte dell'essere, non tralasciando né la più piccola, né la più grande, né nessun'altra».

«è così ».

«L'uno che è, è in ogni parte nella sua totalità? Presta attenzione a questo».

«Presto attenzione e vedo che è impossibile».

«Diviso allora in parti, se non tutto: in nessun altro modo l'uno sarà contemporaneamente presente in tutte le parti

dell'essere, se non diviso».

«Sì ».

«Ed è assai necessario che ciò che viene diviso risulta di tanti elementi quante sono le sue parti». «Necessariamente».

«Poco fa non dicevamo il vero, asserendo che l'essere si divide in numerosissime parti. Infatti si divide in parti che non sono più numerose dell'uno, ma equivalenti, a quanto pare, dell'uno: infatti ciò che è non è privo dell'uno, né l'uno è privo di ciò che è, ma si equivalgono, poiché sono sempre due in ogni cosa».

«Sembra così , certo».

«L'uno stesso, una volta frazionato in parti dall'essere, è molti e infinitamente molteplice».

«Così risulta».

«Non solo ciò che è uno è molti, ma anche l'uno, preso in sé, diviso da ciò che è, per un'assoluta necessità».

«Certo».

«E poiché le parti sono parti di un tutto, l'uno sarà, secondo il tutto, limitato: oppure le parti non sono comprese dal tutto?» «Necessariamente».

«Ma ciò che contiene sarà un limite».

«Come no?» «L'uno che è in un certo senso è uno e molti, tutto e parti, limitato e infinitamente molteplice».

«Così risulta».

«Ma se è limitato, non ha anche punti estremi?» «Necessariamente».

«E allora? Se è tutto, non avrà anche principio, mezzo, e fine? O qualcosa può essere tutto senza queste tre determinazioni? Anche se una qualsiasi di esse mancasse, potrà ancora essere tutto?» «Non potrà». «E l'uno avrà principio, a quanto sembra, e fine, e mezzo».

«Potrà averli».

«Ma il mezzo mantiene uguale distanza dai punti estremi: non in altro modo potrebbe essere mezzo».

«No, infatti».

«E di una certa forma, a quanto pare, essendo tale, l'uno prenderà parte, la quale è diritta, circolare, oppure risulta dalla mescolanza di entrambe».

«Sì , vi prenderà parte».

«Avendo tali caratteristiche, non sarà esso sia in se stesso sia in altro?» «Come?» «Ciascuna delle parti è nel tutto, e nulla è fuori del tutto».

«è così ».

«Tutte le parti sono contenute dal tutto?» «Sì ».

«L'uno è tutte le sue parti, né di più, né di meno di tutte le sue parti». «No, infatti».

«Dunque l'uno non è anche il tutto?» «Come no?» «Se tutte le parti sono nel tutto, e l'uno è tutte le sue parti e il tutto in sé, tutte le parti sono comprese dal tutto, mentre l'uno sarà compreso dall'uno, e così l'uno in sè, ormai, sarà in se stesso».

«Così risulta».

«Ma il tutto non è nelle parti, né in tutte, né in qualcuna. Se fosse in tutte, necessariamente sarebbe anche in una; d'altra parte, non essendo in una, non potrà più essere in tutte. Se questa una è una fra tutte, e il tutto non è in questa una, come potrà essere ancora in tutte?» «In nessun modo potrà». «Né si trova in alcune delle parti: se il tutto fosse in alcune di esse, il più sarebbe nel meno, il che è impossibile».

«Impossibile».

«Non essendo il tutto in più parti, né in una sola, né in tutte le parti, non è necessario che sia in qualche altra parte oppure in nessun luogo?» «Necessariamente».

«Non essendo in nessun luogo, non sarebbe per nulla, mentre, essendo un tutto, dal momento che non è in se stesso, non è necessario che sia in altro?» «Certo».

«L'uno, inteso come tutto, è in altro: inteso però come insieme di tutte le sue parti, si trova in se stesso. E così è necessario che l'uno sia in se stesso e in altro».

«è necessario».

«Essendo generato in questo modo, non è necessario che si muo va e stia fermo?» «Come?» «Sta fermo, in un certo senso, se è vero che esso è in se stesso: essendo in una posizione, e non muovendosi da quella, nella stessa posizione sarà, cioè in se stesso».

«è così ».

«Ciò che è sempre nella stessa posizione, è necessario che sempre stia fermo».

«Certo».

«E allora? Ciò che è sempre in altro, non è necessario che, al contrario, mai si trovi nella stessa posizione, e non essendo mai nella stessa posizione, non è neces sario dire che non sta fermo, e che dunque, non stando fermo, si muove?» «è così ».

«L'uno, essendo sempre in se stesso e in altro, di necessità sempre si muove e anche sta fermo».

«Così risulta».

«E deve essere identico a se stesso, e diverso da se stesso, e, allo stesso modo, identico e diverso rispetto alle altre cose, se è vero che è oggetto anche delle condizioni di cui si è detto prima».

«Come?» «Ogni cosa è in questo modo in relazione con ogni cosa, vale a dire è identica o è diversa: se non è né identica, né diversa, sarà parte di ciò con cui è in tale relazione, oppure sarà come un tutto in relazione con una parte».

«Così risulta».

«L'uno stesso è una parte di se stesso?» «Nient'affatto».

«Esso non sarà come un tutto in relazione ad una sua parte, essendo una parte in relazione a se stesso».

«Non è possibile».

«Ma l'uno è diver so dall'uno?» «No, certo».

«Non sarà dunque diverso da se stesso».

«No, senza dubbio».

«Se esso non è diverso, né è tutto, né è parte in relazione a se stesso, non è ormai necessario che esso sia identico a se stesso?» «Necessario».

«E allora? Ciò che è altrove da sè, dal sé che è nello stesso luogo di se stesso, non è necessario che sia diverso da sé, se è vero che è anche altrove da sé?» «Mi sembra».

«In questo modo apparve l'uno, essendo in se stesso e in altro nello stesso tempo».

«Così risultò».

«Così l'uno, a quanto pare, sarà, in questo modo, diverso da sé».

«Pare».

«E allora? Se qualcosa è diverso da qualcosa, non sarà diverso da cio che è diverso?» «Necessariamente».

«Dunque tutto quanto non è uno, non è tutto diverso dall'uno, e l'uno non è diverso da tutto quanto non è uno?»

«Come no?» «L'uno sarà diverso dalle altre cose».

«Diverso».

«Presta attenzione: l'identico e il diverso, presi in sé, non sono opposti fra loro?» «Come no?» «Potrà mai l'identico essere nel diverso o il diverso nell'identico?» «Non potrà» «Se il diverso non sarà mai nell'identico, non vi è nulla, fra le cose che sono, in cui il diverso sia per alcun tempo: se infatti per un tempo qualsiasi il diverso fosse in qualcosa, per quel tempo il diverso sarebbe nell'identico. Non è così ?» «è così ».

«Dal momento che il diverso mai si trova nell'identico, mai può trovarsi in alcune delle cose che sono».

«Vero».

«E il diverso non sarà né in ciò che non è uno, né nell'uno».

«No, certo».

«L'uno non sarà diverso dal non uno, e il non uno non sarà diverso dall'uno, rispetto al diver so».

«No, infatti».

«E non saranno diversi fra loro, per se stessi, non prendendo parte del diverso».

«E come potrebbero?» «Se non sono diversi per se stessi, né per il diverso, non sfuggiranno ormai completanente al non essere diversi fra loro?» «Sfuggiranno».

«Ma ciò che non è uno non prende parte neppure dell'uno: infatti non sarebbe non uno, ma uno».

«Vero».

«Neppure numero sarà ciò che non è uno: neppure così sarebbe assolutamente non uno, se avesse il numero».

«No, certo».

«E allora? Ciò che non è uno è parte dell'uno? Oppure, se anche tale fosse, ciò che non è uno non prenderebbe parte dell'uno?» «Prenderebbe parte».

«Se l'uno è assolutamente uno, e ciò che non è uno non è uno, l'uno non sarà parte dì ciò che non è uno, né un tutto composto di ciò che non è uno, come costituisse le sue parti: e a sua volta ciò che non è uno non sarà parte dell'uno, né sarà un tutto rispetto all'uno come parte».

«No, infatti».

«Ma dicevamo che le cose che non hanno né parte, né tutto, né diversità le une rispetto alle altre, saranno identiche fra loro».

«Lo dicevamo, sì ».

«Diremo che anche l'uno, avendo tali relazioni con ciò che non è uno, sia identico a ciò che non è uno?» «Dobbiamo dirlo».

«L'uno, a quanto pare, è diverso dalle altre cose e da se stesso, ed è identico a quelle e a se stesso».

«Dal discorso c'è caso che risulti così ».

«Ma è simile ed è dissimile a se stesso e alle altre cose?» «Forse».

«Poiché appare diverso dalle altre cose, anche le altre co se saranno diverse da quello». «E allora?» «Non sarà diverso dalle altre cose così come anche le altre cose sono diverse da quello, né di più, né di meno?» «Perché infatti?» «Se non di più, né di meno, allora in modo simile».

«Sì ».

«Come dunque l'uno è oggetto di condizione diversa rispetto alle altre cose - e lo stesso discorso vale anche per le altre cose nei suoi confronti -, così l'uno sarà oggetto di condizione identica alle altre cose e le altre cose proveranno condizione identica all'uno».

«Come dici?» «Così : non usi ciascun nome per definire qualche cosa?» «Proprio così ».

«E allora? Pronunci lo stesso nome spesso o anche una volta sola?» «Sì ».

«Se lo pronunci una volta sola, chiami quella cosa che ha quel nome, se lo pronunci spesso non chiami quella cosa? Oppure, sia che tu pronunci lo stesso nome una volta sola, sia più volte, è assolutamente necessario che tu ti riferisca sempre alla stessa cosa?» «E allora?» «Non è anche il "diverso' un nome che definisce qualcosa?» «Certo».

«Quando lo pronunci, sia che tu lo pronunci una volta sola, sia spesso, non lo attribuisci ad altra cosa, né altra cosa nomini se non ciò cui appartiene quel nome».

«Per forza».

«Quando diciamo che "diverso" sono le altre cose dall'uno, e l'uno dalle altre cose, usando il nome del diverso due volte, non lo attribuiamo ad altra natura, ma a quella che sempre possedeva quel nome».

«Certo».

«Poiché l'uno è diverso dalle altre cose e le altre cose sono diverse dall'uno, in base a questa stessa diversità di cui essi sono oggetto, l'uno proverà non altra condizione, ma identica in relazione alle altre cose: e ciò che prova identica condizione è simile, non è vero?» «Sì ».

«Per il fatto che l'uno prova l'essere diverso rispetto alle altre cose, proprio per questo motivo, esso sarà in tutto simile a tutte le altre cose: preso nella sua totalità, è infatti diverso da tutte le altre cose».

«Pare sia così ».

«Ma il simile è opposto al dissimile».

«Sì ».

«E anche il diverso all'identico».

«Anche questo è così ».

«Ma anche questo risultò, cioè che l'uno è identico alle altre cose».

«Risultò».

«L'essere identici alle altre cose è opposta condizione all'essere diversi dalle altre cose».

«Certo».

«Per il fatto di essere diverso, l'uno risultò simile».

«Sì ».

«Per il fatto di essere identico, sarà dissimile, secondo quella condizione opposta a quella che lo rende simile. Il diverso non lo rendeva simile?» «Sì ».

«L'identico lo renderà dissimile, o non sarà opposto al diverso».

«Pare».

«L'uno sarà simile e dissimile in relazione alle altre cose, simile, per il fatto di essere diverso, dissimile, per il fatto di essere identico».

«Anche tale proporzione, a quanto pare, ha validità».

«Anche questa qui».

«Quale?» «Per il fatto di essere oggetto dell'identica condizione, non è oggetto di una condizione differente, e non provando tale differente condizione, non sarà dissimile, e non essendo dissimile, sarà simile: in quanto però è oggetto dell'essere altro, è differente, ed essendo differente, è quindi dissimile».

«Quello che dici è vero».

«Poiché l'uno è identico e diverso rispetto alle altre cose, in entrambi i casi, e dunque nell'uno e nell'altro caso, l'uno sarà simile e anche dissimile in relazione alle altre cose».

«Certo».

«Dunque, allo stesso modo, in relazione a se stesso: se è vero che ci risultò diverso da se stesso e identico a se stesso, in entrambi i casi, e dunque nell'uno e nell'altro caso, l'uno non si mostrerà simile e anche dissimile?» «Di necessità».

«E allora? Osserva come avviene il contatto che l'uno istituisce con se stesso e le altre cose, e il caso in cui tale contatto non si verifichi».

«Sto osservando».

«L'uno risultò essere totalmente in se stesso».

«Giusto».

«Dunque l'uno è anche nelle altre cose?» «Sì ».

«Per il fatto di essere nelle altre cose, ha contatti con le altre cose: per il fatto di essere in se stesso, è impedito di avere contatti con le altre cose, e avrà contatti con se stesso, essendo in se stesso».

«Risulta così ».

«Così l'uno avrà contatti sia con se stesso, sia con le altre cose».

«In questo modo avrà contatti».

«E se si considera la cosa in questo modo? Non è vero che tutto ciò che sta per venire in contatto con qualcosa deve trovarsi subito dopo la cosa con cui sta per entrare in contatto, occupando la posizione che si trovi dopo quella in cui venga a trovarsi ciò che viene a contatto?» «Per forza».

«E l'uno, se sta per entrare in contatto con se stesso, deve trovarsi subito di seguito a se stesso, occupando il luogo che venga immediatamente dopo quello in cui esso si trova».

«Deve fare così , senza dubbio».

«Se l'uno fosse due, potrebbe fare così , e trovarsi nel contempo in due luoghi: ma finché sarà uno, non è vero che non potrà?» «No, certo».

«La medesima necessità non permette all'uno né di essere due, né di entrare in contatto con se stesso».

«Sì , la medesima».

«Ma non potrà essere neppure a contatto con le altre cose».

«Perché?» «Perché, diciamo, ciò che sta per venire in contatto con qualcosa, ed è separato, deve stare immediatamente dopo la cosa con cui verrà in contatto, senza che una terza cosa si frapponga fra quelli».

«Vero».

«Bisogna cioè che ci sia il numero minimo di due termini, se si vuole che ci sia un contatto».

«è così ».

«Se a questi due termini se ne aggiunge di seguito un terzo, essi saranno tre, i contatti due».

«Sì ».

«E così , aggiungendo sempre un termine, si ha anche un contatto, e accade che il numero di contatti sia inferiore di uno rispetto a ciò che è in contatto. In base al criterio per cui i primi due termini superarono i contatti, essendo il loro numero superiore ai contatti, per il medesimo criterio ogni numero che viene aggiunto in seguito supera tutti i contatti: e oramai, per quel che segue, tutto ciò che viene aggiunto al numero corrisponde nel contempo a un contatto aggiunto ai contatti».

«Giusto».

«Quale che sia il numero dei termini che vengono aggiunti, i contatti sono sempre inferiori di uno rispetto ad essi».

«Vero».

«Se vi è un solo termine, e non due, non vi sarà contatto».

«Come potrebbe?» «Dunque, diciamo, le altre cose diverse dall'uno non sono uno, e non partecipano di quello, se è vero che sono altre cose».

«No».

«E il numero non è presente in queste altre cose, non essendo l'uno in esse».

«E come potrebbe?» «Le altre cose non sono uno, né due, e non hanno alcun nome di alcun altro numero».

«No».

«L'uno è soltanto uno, e non sarà due».

«Sembra di no».

«Non vi è contatto, se non vi sono due termini».

«Non è possibile».

«Dunque l'uno non è a contatto con le altre cose, né le altre cose sono a contatto con l'uno, se è vero che non vi è contatto».

«No, senza dubbio».

«Così , in base a tutto ciò, l'uno è a contatto con le altre cose e con se stesso, e non è a contatto».

«Mi pare».

«Esso, dunque, è anche uguale e disuguale, sia a se stesso, sia alle altre cose?» «Come?» «Se l'uno fosse maggiore o minore delle altre cose, e, a sua volta, le altre cose fossero maggiori o minori dell'uno, in quanto l'uno è uno e le altre cose sono altro rispetto all'uno, non saranno né maggiori, né minori fra loro, in virtù del loro stesso essere? Ma se, oltre al fatto di essere tali, l'uno e l'altro avessero in sé l'uguaglianza, sarebbero uguali l'uno nei confronti dell'altro: se le altre cose avessero la grandezza e l'uno la piccolezza, oppure l'uno la grandezza e le altre cose la piccolezza, non è vero che la specie cui si aggiungesse la grandezza sarebbe maggiore, minore invece quella cui si aggiungesse la piccolezza?»

«Di necessità».

«Non vi sono allora queste due specie, grandezza e piccolezza?

Se non vi fossero, non sarebbero opposte fra loro, e non sarebbero presenti nelle cose che sono».

«E come potrebbero?» «Se nell'uno vi fosse la piccolezza, o sarebbe nel tutto, o in una sua parte».

«Necessariamente».

«E se fosse nel tutto? Non è vero che o essa si estenderebbe in ugual modo con l'uno per tutta la sua estensione, oppure cercherebbe di contener lo?» «è chiaro».

«Ma se la piccolezza avesse estensione equivalente a quello, non sarebbe uguale all'uno, e se lo contenesse, non sarebbe maggiore?» «Come no?» «è possibile che la piccolezza sia uguale o maggiore di qualcosa, e assuma le funzioni di grandezza e di uguaglianza, e non quelle proprie di se stessa?» «Impossibile».

«La piccolezza non sarà nell'uno, preso nella sua totalità, ma, se è vero quel che si è detto, nella parte».

«Sì ».

«Non però in tutta la parte: altrimenti, farà le stesse cose che farebbe nella totalità. Sarà uguale, o maggiore della parte in cui sempre viene ad essere».

«Per forza».

«La piccolezza non sarà mai presente in nessuna delle cose che sono, non trovandosi né in una parte, né nel tutto: e non vi sarà qualcosa di piccolo al di fuori della piccolezza in sé».

«Pare di no».

«E in esso non vi sarà la grandezza: potrebbe esserci infatti qualcos'altro di più grande oltre la grandezza stessa, vale a dire quello in cui la grandezza sarebbe presente, e in relazione a tale grandezza non ci sarebbe il piccolo il quale essa necessariamente superererebbe, se è vero che è grande. Questo è impossibile, dal momento che la piccolezza non è in nessun luogo».

«Vero».

«Ma la grandezza in sé non è maggiore di nient'altro se non della piccolezza in sé, e la piccolezza di nient'altro è minore se non della grandezza in sé».

«No, infatti».

«E le altre cose non sono maggiori né minori dell'uno, non avendo grandezza né piccolezza, né queste due hanno in relazione all'uno la possibilità di superare e di essere superate, ma soltanto in relazione reciproca, e l'uno, a sua volta, non sarà maggiore, né minore di queste due, né delle altre cose, non avendo né grandezza, né piccolezza».

«Risulta così ».

«Dunque, se l'uno non è maggiore né minore delle altre cose, non è vero che si troverà nella necessità di non poterle superare, né di essere da quelle superato?» «Necessariamente».

«Dunque, è assolutamente necessario che ciò che non supera e non è superato si equivalga, ed equivalendosi, sarà uguale».

«Come no?» «E anche l'uno in sé rispetto a se stesso si trova in tale relazione: non avendo in se stesso grandezza né piccolezza, non è superato e neppure supera se stesso, ma, equivalendosi, è uguale a se stesso».

«Certo».

«L'uno sarà uguale a se stesso e alle altre cose».

«Così risultò».

«E l'uno, essendo in se stesso, dall'esterno circonderà se stesso, e circondandolo, sarà maggiore di sé, se è circondato, invece, minore, e in tal modo l'uno sarà maggiore e minore di se stesso».

«Sì ».

«Dunque non è necessario affermare anche questo, che nulla vi è al di fuori dell'uno e delle altre cose?» «Come no?» «Ma ciò che sempre è, deve sempre essere da qualche parte».

«Sì ».

«E pertanto ciò che è in qualcosa, non sarà come un più piccolo in un più grande? Non diversamente si può sostenere che una cosa è in un'altra».

«No, infatti».

«Dal momento che non vi è nient'altro separato dalle altre cose e dall'uno, e poiché esse in qualcosa devono essere, non è ormai necessario che siano gli uni negli altri, vale a dire, le altre cose nell'uno e l'uno nelle altre cose, piuttosto che non essere in alcun luogo?» «Così risulta».

«Se l'uno si trova nelle altre cose, le altre cose saranno maggiori dell'uno, poiché lo contengono, mentre l'uno sarà minore delle altre cose, essendo contenuto: ma se le altre cose sono nell'uno, l'uno, secondo lo stesso ragionamento, sarà maggiore delle altre cose, e le altre cose saranno minori dell'uno».

«Mi pare».

«L'uno è dunque uguale, e maggiore, e minore di se stesso e delle altre cose».

«Così risulta».

«E se maggiore, minore, e uguale, sarà di misure uguali, più grandi e più piccole in relazione a sé e alle altre cose, e, dal momento che si tratta di misure, si dovrà parlare così anche di parti».

«Come no?» «Essendo di misure uguali, più grandi e più piccole, anche rispetto al numero sarà più piccolo e più grande di se stesso e delle altre cose, e uguale a se stesso e alle altre cose, secondo lo stesso ragionamento». «Come?» «Esso sarà di misure più grandi di ciò di cui sarà maggiore, e quante più saranno le misure, tanto più saranno le parti: e lo stesso vale nel caso in cui sia più piccolo di qualcosa, e analogamente se fosse uguale a qualcosa».

«è così ».

«Se quindi sarà maggiore, minore, e uguale rispetto a se stesso, non sarà forse anche dì misure uguali, più grandi e più piccole rispetto a se stesso, e, se si parla di misure, anche di parti?» «Come no?» «Essendo di parti uguali a se stesso, sarà uguale a se stesso, in relazione al numero delle parti, mentre sarà più grande, se sarà di parti più grandi, e più piccolo, se sarà di parti più piccole».

«Così risulta».

«Dunque anche rispetto alle altre cose l'uno non si troverà in tale condizione? In quanto maggiore di esse, inevitabilmente sarà più grande di esse anche di numero; se risulta minore, sarà più piccolo; se risulta uguale, rispetto alla grandezza, non sarà anche per estensione numerica, uguale alle altre cose?» «Di necessità».

«Così , a quanto pare, l'uno sarà uguale, più grande e più piccolo di numero rispetto a sé e alle altre cose».

«Lo sarà».

«Ora, l'uno prende parte anche del tempo, ed è e diviene più giovane e più vecchio di se stesso e delle altre cose, e non è né più giovane, né più vecchio di se stesso e delle altre cose, anche se prende parte del tempo?» «Come?»

«Possiede l'essere, se l'uno è».

«Sì ».

«E l'essere cos'altro è se non la partecipazione dell'essere con il tempo presente, così come l'"era" segnava l'unione con il tempo passato, mentre il "sarà" con il tempo futuro?» «è così ».

«Esso prende parte del tempo, se è vero che prende parte anche dell'essere».

«Certo».

«Dunque prende parte del tempo che procede?» «Sì ».

«Diventa sempre più vecchio di se stesso, se procede insieme al tempo».

«Per forza».

«Ora, non ricordiamo che ciò che è più vecchio diventa più vecchio se lo si mette in relazione con ciò che diviene più giovane?» «Sì ».

«Poiché l'uno diventa più vecchio di se stesso, diventerà più vecchio se lo si mette in relazione a se stesso che diviene più giovane?» «Di necessità».

«In tal modo diventa più giovane e anche più vecchio di se stesso».

«Sì ».

«Non è forse più vecchio quando viene ad essere nel tempo presente, in mezzo tra l'"era" e il "sarà"? Procedendo dall'"allora" al "poi", non potrà tralasciare l'"ora"».

«No».

«Dunque non smette di diventare più vecchio, allorquando s'imbatte nell'"ora", e non lo diviene, ma in quel momento non è già più vecchio? Procedendo innanzi non sarà mai colto dall'"ora". Ciò che procede si trova in una condizione tale da avere contatti con entrambi, con l'"ora" e con il "poi", poiché mentre abbandona l'"ora" coglie il "poi", e dunque viene a trovarsi tra l'uno e l'altro, fra il "poi" e l'"ora"».

«Vero».

«Se è inevitabile che tutto ciò che diviene non passi accanto all'"ora", dopoché si trovi proprio su quel punto, smette sempre di divenire, e allora rimane così come in quel momento per caso diveniva».

«Così risulta».

«E l'uno, qualora, diventando più vecchio, s'imbatta nell'"ora", smette di divenire e in quel momento è più vecchio».

«Certo».

«Di ciò di cui diventava più vecchio, di ciò è anche più vecchio: diventava più vecchio di sé?» «Sì ».

«Ciò che è più vecchio è più vecchio di ciò che è più giovane?» «è così ».

«E l'uno è più giovane di sé allorquando, diventando più vecchio, si imbatte nell'"ora"».

«Per forza».

«L'"ora" si trova sempre presso l'uno, in ogni aspetto dell'essere: infatti l'uno è sempre nell'"ora", ogni qualvolta che sia».

«Come no?» «Dunque sempre l'uno è, e diviene più vecchio e più giovane di sé».

«Pare così ».

«Esso è, o diviene, per un periodo di tempo più grande di se stesso, oppure per un periodo di tempo uguale?» «Per un periodo di tempo uguale».

«Ma ciò che diviene, o è, per un uguale periodo di tempo, non ha la stessa età?» «Come no?» «Ciò che ha la stessa età non è né più vecchio, né più giovane».

«No, infatti».

«L'uno, che diviene, ed è, per un periodo di tempo uguale a se stesso, non è e non diventa né più gio vane, né più vecchio di se stesso».

«Mi sembra di no».

«E le altre cose?» «Non saprei dire».

«Puoi dire questo, cioè che le cose che sono diverse dall'uno, se è vero che sono diverse, ma non "diverso", sono più di uno: se fossero "diverso", sarebbero uno, ma poiché sono diverse, sono più di uno, e hanno molteplicità».

«Sì , hanno molteplicità».

«Essendo molteplicità, prenderanno parte di un numero più grande dell'uno».

«Come no?» «E allora? Diremo che, riguardo al numero, si generano e si sono generati prima i numeri più grandi o quelli più piccoli?» «Quelli più piccoli».

«Per primo si genera il più piccolo: questo è l'uno. Non è vero?» «Sì ». «L'uno è divenuto prima fra tutte le cose che hanno numero: anche tutte le altre cose contengono in sé il numero, se è vero che sono altre e non "altro"».

«Sì , lo hanno».

«Essendo divenuto, credo, per primo, prima delle altre cose è divenuto, mentre le altre cose dopo, e ciò che è divenuto dopo è più giovane di ciò che è divenuto prima: così le altre cose saranno più giovani dell'uno, e l'uno più vecchio delle altre cose».

«Sarà così , infatti».

«E che dire di questo? Sarebbe possibile che l'uno fosse diventato contrario alla sua stessa natura, o è impossibile?»

«Impossibile».

«Ma l'uno risultò provvisto di parti, e se ha parti, ha anche principio, fine, e mezzo».

«Sì ».

«E il principio non diviene prima di tutte le cose, sia dell'uno stesso, sia di ciascun'altra cosa, e dopo il principio non vi sono tutte le altre cose fino alla fine?» «E allora?» «E diremo che tutte queste altre cose sono parti del tutto e dell'uno, e che quello è divenuto tutto e uno contemporaneamente, alla fine».

«Lo diremo».

«La fine, credo, diviene per ultima, e l'uno, per natura, diviene insieme a questa: sicché, se è necessario che l'uno in sé non diventi contrario alla sua natura, divenendo insieme alla fine, diventerà ultimo, secondo natura, fra tutte le altre cose».

«Così risulta».

«L'uno è dunque più giovane delle altre cose, e le altre cose sono più vecchie dell'uno».

«Così mi sembra».

«E allora? Il principio, o qualsiasi altra parte dell'uno o di qualcosa, qualora sia parte, ma non "parti", non è necessario che sia uno, essendo parte?» «Per forza».

«Dunque l'uno diventerà insieme a ciò che diviene per primo e a ciò che diviene per secondo, e non manca in nessuna delle altre cose che divengono, quali che siano e a qualsiasi cosa si aggiungano, finché, attraversandole, arriva all'ultima, e diventa tutto e uno, e nel divenire né il mezzo, né il principio, né la fine, né nessun'altra cosa rimane priva».

«Vero».

«L'uno ha la stessa età di tutte le altre cose: sicché se l'uno in sé non si è generato contro natura, non sarà diventato né prima, né dopo le altre cose, ma nello stesso tempo.

E analogamente l'uno non sarà né più vecchio, né più giovane delle altre cose, né le altre cose dell'uno: secondo il ragionamento precedente, sarebbe più vecchio ed anche più giovane, e, allo stesso modo, le altre cose con quello».

«Certo».

«Tale è e tale è diventato. Ma cosa si può dire intorno al fatto che esso divenga più vecchio e anche più giovane delle altre cose, e le altre cose rispetto all'uno, e sul fatto che non diventi né più giovane, né più vecchio? Si possono dire circa il divenire le stesse cose che si dicevano a proposito dell'essere, o bisogna parlare diversamente?» «Non so che dire».

«Io dico questo: se qualcosa è più vecchio di qualcos'altro, non potrà diventare ancora più vecchio della differenza di età che aveva non appena si generò, e ciò che è più giovane, a sua volta, non potrà divenire ancora più giovane: misure uguali aggiunte a misure disuguali, come il tempo o qualsiasi altra cosa, fanno sì che la differenza sia sempre uguale a quella che era la prima differenza».

«Come no?» «Dunque, ciò che è più vecchio o più giovane di qualcosa non diventerà mai più vecchio, né più giovane di ciò che è più vecchio o più giovane, se è vero che vi è sempre la stessa differenza di età: ma uno è, ed è diventato più vecchio, mentre l'altro è più giovane, e non lo diventano».

«Vero».

«E l'uno che è non diventa mai né più vecchio, né più giovane delle altre cose che sono».

«No, senza dubbio».

«Considera se in questo modo le cose diventano più vecchie e più gio vani».

«Quale modo?» «Quel modo secondo cui l'uno risultò più vecchio delle altre cose, e le altre cose più vecchie dell'uno».

«E allora?» «Quando l'uno è più vecchio delle altre cose, è divenuto per un periodo di tempo più grande delle altre cose».

«Sì ».

«Presta di nuovo la tua attenzione: se a un periodo di tempo più grande e più piccolo aggiungiamo un uguale periodo di tempo, il periodo di tempo più grande differirà dal più piccolo in base a una parte uguale, o più piccola?» «Più piccola».

«Dunque, quale che fosse la differenza inziale di età dell'uno rispetto alle altre cose, questa differenza l'uno non avrà anche in avvenire, ma ricevendo periodi di tempo uguali alle altre cose, sempre meno di prima differirà, in base all'età, da esse. O no?» «Sì ».

«Ciò che differisce meno di prima, in base all'età, rispetto a qualcosa, non diventerà forse più giovane di quanto fosse in una circostanza precedente rispetto a ciò di cui, prima, era più vecchio?» «Più giovane».

«Se quello è più giovane, le altre cose non diventeranno più vecchie di prima rispetto all'uno?» «Certo».

«Ciò che è diventato più giovane diviene più vecchio rispetto a ciò che è divenuto prima ed è più vecchio; ma non è mai più vecchio, bensì diviene sempre più vecchio di quello: quello progredisce verso l'essere più giovane, l'altro verso l'essere più vecchio. Allo stesso modo il più vecchio diventa più giovane del più giovane. Procedendo essi nel senso opposto, diventano opposti fra loro: il più giovane diventa più vecchio del più vecchio, e il più vecchio diventa più giovane del più giovane. Diventano, ma non sono in grado di essere diventati: se fossero diventati, non diventerebbero più, ma sarebbero. Ora invece diventano più vecchi e più giovani l'uno dell'altro. L'uno diventa più giovane delle altre cose, poiché risultò essere più vecchio e divenuto prima, le altre cose diventano più vecchie dell'uno, poiché sono divenute dopo. Analogamente anche le altre cose hanno tale relazione rispetto all'uno, in quanto risultano più vecchie di quello e divenute prima».

«Così risulta».

«Dunque, in quanto nulla diviene né più vecchio, né più giovane di un'altra cosa, poiché sempre differiscono fra loro in base a un uguale numero, l'uno non diventerà più vecchio, né più giovane delle altre cose, né le altre cose dell'uno: d'altra parte, poiché ciò che è diventato prima differisce per necessità, in base a un sempre nuovo rapporto, da ciò che è divenuto dopo, e ciò che divenuto dopo da ciò che è divenuto prima, per questa ragione non è forse necessario che diventino più vecchi e più giovani l'uno dell'altro, ovvero le altre cose rispetto all'uno, e l'uno rispetto alle altre cose?»

«Certo».

«Secondo tutto questo discorso, l'uno in sé è, e anche diviene, più vecchio e più giovane di se stesso e delle altre cose, e non è e non diviene né più vecchio, né più giovane di se stesso e delle altre cose».

«E assolutamente così ».

«Dato che l'uno partecipa del tempo, e del divenire più vecchio e più giovane, non è allora necessario che esso prenda parte dell'"allora", del "poi", e dell'"ora", se è vero che prende parte del tempo?» «Per forza».

«Dunque l'uno era, è, sarà, e diventava, diviene, diverrà?» « E allora?» «E ci sarebbe qualcosa, e c'era, c'è, o ci sarà, che si riferisce ad esso e che ad esso appartiene?» «Certo».

«E ci potrà essere scienza, opinione, e sensazione di esso, se è vero che anche ora noi su di esso facciamo tutte queste riflessioni».

«Dici bene».

«E ad esso appartengono il nome e il discorso, e si può nominare e può essere materia di discorso: e tutto ciò che vi è di simile si verifica per le altre cose, e così anche per l'uno».

«La questione sta assolutamente in questi termini».

«Dobbiamo ancora parlare della terza ipotesi. Se l'uno è, come abbiamo osservato, non è necessario che, essendo uno e molti, e non essendo né uno, né molti, e partecipando del tempo, in quanto è uno, partecipi talvolta dell'essere, e in quanto non lo è, qualche altra volta non partecipi dell'essere?» «Assolutamente».

«Forse quando vi partecipa, potrà in quell'occasione non parteciparvi, o, quando non vi partecipa, potrà in quell'occasione parteciparvi?» «Non può».

«In un tempo vi partecipa, e in un altro non vi partecipa: soltanto così potrà partecipare e non partecipare della medesima cosa».

«Giusto».

«Dunque non vi è il tempo in cui prende parte dell'essere, e il tempo in cui si allontana? Come potrà ora possederlo, ora non possederlo, se non prendendolo e lasciandolo?» «In nessun altro modo».

«Non chiami "divenire" il prendere parte all'essere?» «Proprio così ».

«E "perire" l'abbandonare l'essere?» «Certo».

«L'uno, a quanto pare, ricevendo e lasciando l'essere, diviene uno e perisce».

«Per forza».

«Poiché è uno e molti, e diviene e perisce, non è vero che, qualora divenga uno, perisce il suo essere molti, mentre, quando diviene molti, perisce il suo essere uno?» «Certo».

«Divenendo uno e molti, non è necessario che si separi e si ricongiunga?» «Assolutamente necessario».

«E nel caso diventi dissimile e simile, non è necessario che renda se stesso simile e dissimile?» «Sì ».

«E qualora diventi maggiore, minore, e uguale, necessariamente si accrescerà, decrescerà, sarà equivalente?» «è così ».

«E quando l'uno muovendosi si ferma, e stando fermo si muta in movimento, ciò non può verificarsi in nessuna frazione di tempo».

«Come potrebbe?» «Se prima sta fermo e poi si muove, o prima si muove e poi sta fermo, non sarà in grado di provare tali condizioni senza mutamento».

«Come potrebbe?» «Non vi è nessun tempo in cui alcunché possa muoversi e stare fermo contemporaneamente».

«No, certo».

«Ma neppure muta senza il mutare».

«Non è verosimile».

«E quando muta? né stando fermo, né muovendosi, muta,e neppure quando è nel tempo».

«No, certo».

«Ma dunque esiste questa cosa singolare in cui l'uno è allorquando muta?» «Cos'è?» «L'istante. Pare che l'istante indichi una cosa del genere, vale a dire quel punto da cui qualcosa si muove verso l'una o l'altra condizione. Non infatti dall'essere in quiete, che persiste ancora nella sua condizione di immobilità, ha origine il mutamento, né dal moto ancora in movimento: ma questa singolare natura dell'istante risiede in un punto mediano, fra il moto e la quiete, e non è in alcun tempo, e nell'istante e dall'istante ciò che è in moto si muta verso l'essere in quiete, e ciò che è in quiete si muta verso l'essere in moto».

«Può darsi».

«E l'uno, se è vero che sta fermo e si muove, si muterà nell'una e nell'altra condizione - solo in questo modo prenderà parte dell'una e dell'altra condizione - e mutando muta all'istante, e quando muta, non è in nessun tempo, e allora non si muoverà, né starà fermo».

«No, infatti».

«Così avviene anche per gli altri mutamenti, nel caso in cui dall'essere passi al perire, o dal non essere al divenire: allora si viene a trovare in mezzo ad alcuni generi di moto e di quiete, e non è forse vero che in quel momento non è, e neppure non è, non diviene, e neppure perisce?» «Mi pare».

«Analogamente, anche quando dall'uno procede verso i molti, e dai molti perviene all'uno, non è uno, né molti, e non avviene separazione, né ricongiunzione. E quando procede dal simile verso il dissimile, e dal dissimile verso il simile, in quel momento non è né simile, né dissimile, né rende se stesso simile, né dissimile: e procedendo dal piccolo al grande, e all'uguale, e ai suoi opposti, in quel momento non è né piccolo, né grande, né uguale, né potrà accrescersi, né decrescere, né essere equivalente».

«Non pare».

«Di tutte queste condizioni farà esperienza l'uno, se esso è».

«Come no?» «Non bisognerebbe prendere in esame quali sono le condizioni che le altre cose è opportuno che provino, se l'uno è?» «Sì , bisogna».

«Allora dobbiamo dire: se l'uno è, quali condizioni proveranno inevitabilmente le altre cose diverse dall'uno?»

«Diciamolo».

«Dunque, se è vero che le altre cose sono diverse dall'uno, le altre cose non sono l'uno: non sarebbero, infatti, diverse dall'uno» «Giusto».

«Tuttavia le altre cose non sono completamente prive dell'uno, ma in un certo senso vi prendono parte».

«Come?» «In quanto le altre cose diverse dall'uno hanno parti, sono altre cose: se infatti non avessero parti, sarebbero assolutamente uno».

«Giusto».

«Parti, diciamo, di ciò che sia un tutto».

«Lo diciamo».

«Ma il tutto è un uno che scaturisce necessariamente dai molti, e di questo tutto saranno parti le parti: ciascuna delle parti, infatti, non deve essere parte dei molti, ma del tutto».

«Come è possibile questo?» «Se qualcosa fosse parte dei molti, fra i quali essa si venisse a trovare, sarebbe certamente parte di se stessa, cosa che è impossibile, e sarebbe parte di ciascuna delle altre cose, se è vero che è parte di tutte. Se non è parte di una sola cosa, sarà parte di tutte le altre cose, fatta eccezione per questa, e così non sarà parte dì ciascuna, e non essendo parte di ciascuna, non sarà parte di nessuno dei molti. Non essendo parte di nessuno di questi, è impossibile che sia qualcosa di ciò di cui è nulla, né parte, né qualsiasi altra cosa».

«Così risulta».

«Non dei molti, né dei tutti, la parte è parte, ma di un certo carattere distintivo, e di un certo uno che chiamiamo "tutto", e si tratta di un uno generato in modo compiuto e risultante da tutti gli elementi, e di questo soltanto la parte sarà parte».

«Certo».

«Se le altre cose hanno parti, prenderanno parte del tutto e dell'uno».

«Certo».

«Le altre cose diverse dall'uno saranno di necessità un tutto uno, compiuto, dotato di parti».

«Di necessità».

«E lo stesso vale per ciascuna parte: è necessario che anche questa partecipi dell'uno. Dire infatti che ciascuna di queste parti è una parte, significa affermare che ciascuna è una, separata dalle altre e presa di per sé, se è vero che ciascuna parte sarà una parte».

«Giusto».

«Ed è evidente che potrà prendere parte dell'uno, in quanto è diversa dall'uno: in caso contrario, non vi parteciperebbe, ma sarebbe l'uno stesso.

Ora è impossibile essere uno se non all'uno stesso».

«Impossibile».

«è necessario che il tutto e la parte prendano parte dell'uno. Il tutto sarà un uno di cui parti sono le parti; mentre ciascuna parte del tutto, quale che sia, sarà una parte del tutto».

«è così ». «Ciò che partecipa dell'uno non vi prenderà parte essendo diverso dall'uno?» «Come no?» «Molte saranno le cose diverse dall'uno: se infatti le cose diverse dall'uno non fossero né uno, né più di uno, nulla sarebbero».

«No, certo».

«Dal momento che sono più di uno quelle cose che partecipano dell'uno come parte e dell'uno come tutto, non è necessario siano molteplici e infinite queste cose che prendono parte dell'uno?» «Come?» «Osserva. Esse, allorquando partecipano dell'uno, vi prendono parte non essendo uno e non partecipandovi?» «è chiaro».

«Non è dunque molteplicità in cui l'uno non è?» «Sì , lo è».

«E allora? Se volessimo con il pensiero sottrarre da tale molteplicità la parte più piccola che riusciamo a sottrarre, non sarebbe necessario che anche la parte che abbiamo separato, se è vero che non prende parte dell'uno, sia molteplicità e non uno?» «Per forza».

«Dunque analizzando sempre in questo modo quella natura, presa di per sé, diversa dalla specie dell'uno, quale che sia la parte di essa che noi sempre osserviamo, non sarà infinita e molteplice?» «Assolutamente».

«Non appena ciascuna parte diviene parte, esse saranno già fornite di un limite le une verso le altre e verso il tutto, e il tutto verso esse».

Senza dubbio».

 

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