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In che modo le mutazioni e la selezione naturale riescano a dare origine a poteri cosi raccapriccianti rappresenta un mistero avvincente per i biologi evoluzionisti. Un concetto utile per inquadrare il problema lo fornisce il biologo Richard Dawkins, autore di un libro che è diventato una pietra miliare del genere: Il gene egoista. Nel libro, Dawkins sostiene che i geni si evolvono per produrre con maggior successo copie di se stessi, cioè per replicarsi. I nostri corpi, nell'ottica dei geni, non sono altro che veicoli che consentono loro (ai geni) di rimanere inalterati nel passaggio da una generazione a quella successiva. L'intero set di geni che compone ciascuno di noi è chiamato genoma. La somma totale di tutte le parti e funzioni corporee che il nostro genotipo crea per promuovere la sua causa — voi, io e chiunque altro — si chiama fenotipo.Dawkins pensa che non dovremmo restringere il concetto di fenotipo solamente al corpo fisico. Il fenotipo include anche comportamenti causati dai nostri geni.

I geni di un castoro codificano per le sue ossa, per i muscoli e per la sua pelliccia. Ma codificano anche per i circuiti cerebrali che inducono il castoro a rosicchiare alberi per costruire dighe. Se una mutazione genica genera un castoro che costruisce dighe ancora migliori, allora quel particolare fenotipo può andare incontro a una migliore probabilità di sopravvivenza e, in media, a un maggior successo riproduttivo. Di conseguenza la mutazione diventerà più comune nel corso di molte generazioni. In un'ottica evoluzionistica, la diga, e persino lo stagno che essa crea, è un'estensione dei geni del castoro tanto quanto lo è il suo corpo. Se il potere di un gene può estendersi alla manipolazione dell'ambiente, si domanda Dawkins, non potrebbe forse estendersi anche alla manipolazione di un'altra creatura viventer Dawkins sostiene di si, e come primo esempio cita i parassiti. La capacità di un parassita di controllare il comportamento di un ospite è codificata nei suoi geni.

Cconstrictumcystacanth

Un minuscolo anfipode, Hyalella azteca, vive sul fondale buio di laghi e stagni, almeno finché viene invaso dalla larva di un verme acantocefalo. Quando la larva matura, il piccolo crostaceo abbandona la sua casa buia e sicura per nuotare verso la superficie. Qui trova anatre e altri uccelli acquatici, bramosi di cibarsi dei piccoli crostacei quando emergono. Per il parassita, diventato arancione grazie ai pigmenti assorbiti dai tessuti della sua vittima, tutto ciò fa parte del piano: i vermi acantocefali raggiungono la piena maturità solo nell'intestino degli uccelli acquatici.

Se uno di questi geni mutasse, il comportamento dell'ospite cambierebbe. A seconda del tipo di cambiamento, la mutazione potrebbe favorire o sfavorire il parassita. Una mutazione in un parassita che influenzi a suo vantaggio il comportamento di un ospite diverrà più comune. Se, per esempio, una vespa acquisisce una mutazione che impone alla coccinella ospite di incominciare a comportarsi da guardia del corpo, la sua prole — che risulterà portatrice di quel tratto genetico — prospererà, perché molti meno individui saranno uccisi da predatori. Dawkins ha esposto queste idee nel libro Il fenotipo esteso, pubblicato nel 1982. Negli anni Ottanta gli scienziati avevano studiato attentamente solo pochi esempi di parassiti in grado di manipolare il comportamento dei loro ospiti. Ma se l'ipotesi era corretta i parassiti avrebbero dovuto ospitare geni in grado di dominare negli ospiti quei geni che di solito ne controllavano le azioni.

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