Massime del Buddha e del pensiero buddista
Massime del Buddha e del pensiero buddista
O me tapino, che vado in cerca di casa e rifugio sicuro, questa notte vago per i meandri di...
Bellissime poesie in Spagnolo
Massime del Buddha e del pensiero buddista
Le massime e gli aforismi di filosofo greco che amava il piacere e...
Massime del Buddha e del pensiero buddista
I migliori sonetti della "Vita Nuova" di Dante Alighieri
Massime del Buddha e del pensiero buddista
Published in Poesie - Sonetti - Ballate
Le massime e gli aforismi di filosofo greco che amava il piacere e gli amici
L'essere beato e immortale non ha affanni, ne ad altri ne arreca; è quindi immune da ira e da benevolenza, perché simili cose sono proprie di un essere debole.
La morte non è niente per noi. Ciò che si dissolve non ha più sensibilità, e ciò che non ha sensibilità non è niente per noi.
Il limite estremo della grandezza dei piaceri è la rimozione di tutto il dolore. Dove sia il piacere, e per tutto il tempo che vi sia, non vi è posto per dolore fisico, o dell'anima, o per l'uno
e l'altro insieme.
Non dura ininterrottamente il dolore della carne; il suo culmine dura anzi un tempo brevissimo; e ciò che di esso appena oltrepassa il piacere non si protrae molti giorni nella nostra carne. Le lunghe malattie poi arrecano alla carne più piacere che dolore.
Non è possibile vivere felicemente senza anche vivere saggiamente, bene e
giustamente, né saggiamente e bene e giustamente senza anche vivere felicemente. A chi
manchi ciò da cui deriva la possibilità di vivere saggiamente, bene, giustamente, manca anche la
possibilità di una vita felice.
Al fine di procurarsi sicurezza nei riguardi degli altri uomini, anche i beni del comando
e del regno sono beni secondo natura in quanto con tali mezzi si sia capaci di procurarsela.
Alcuni vollero divenire famosi e rinomati ritenendo così di procurarsi sicurezza nei
riguardi degli altri uomini. Ammesso che in tal modo la loro vita sia diventata veramente sicura,
essi hanno acquistato un bene secondo natura; ma se la loro vita non lo è divenuta, non hanno
raggiunto quel bene secondo natura sotto il cui impulso hanno agito fin dall'inizio.
Nessun piacere è di per se stesso un male: però i mezzi per procurarsi certi piaceri
arrecano molti più tormenti che piaceri.
Se ogni piacere si intensificasse nel suo luogo e nella sua durata, e pervadesse tutto il
nostro composto o le parti più importanti del nostro essere, allora i piaceri non differirebbero gli
uni dagli altri.
Se le cose che danno luogo ai piaceri propri dei dissoluti fossero anche tali da liberarci
dai timori dell' animo circa i fenomeni celesti, la morte, il dolore, e ci insegnassero quale sia il
limite dei desideri, non avremmo niente da rimproverare a quelli: essi sarebbero infatti ricolmi
di ogni piacere e non avrebbero mai da soffrire fisicamente o da affliggersi, nel che consiste
appunto il male.
Se non ci turbasse la paura dei fenomeni celesti e quella della morte, ch'essa possa
essere qualcosa che ci tocchi da vicino, e il non conoscere il confine dei piaceri e dei dolori, non
avremmo bisogno della scienza della natura.
Non sarebbe possibile dissolvere ogni timore intorno alle cose di maggior importanza
se non si sapesse quale sia la natura dell'universo, ma si vivesse in sospettoso timore delle cose
che ci raccontano i miti; non sarebbe possibile cogliere i piaceri nella loro purezza senza la
scienza della natura.
Non gioverebbe a niente il procurarsi sicurezza nei riguardi degli altri uomini finche si
continuasse a nutrire timore riguardo a ciò che sta sopra di noi, o sottoterra, o in generale
nell'infinito.
Se la sicurezza nei riguardi degli altri uomini deriva fino a un certo punto da una ben
fondata situazione di potenza e ricchezza, la sicurezza più pura proviene dalla vita serena e
dall'appartarsi dalla folla.
La ricchezza secondo natura ha confini ben precisi ed è facile a procacciarsi, quella
secondo le vane opinioni cade in un processo all'infinito.
Poca importanza ha la sorte per il saggio, perché le cose più grandi e importanti sono
governate dalla ragione, e cosi continuano e continueranno ad essere per tutto il corso del
tempo.
Il giusto è privo in assoluto di turbamento, mentre l'ingiusto è ricolmo del turbamento
più grande.
Non cresce il piacere della carne, ma solo subisce variazione, una volta che sia
rimossa tutta la sofferenza che viene dal bisogno. Il limite dei piaceri che la ragione ci prescrive
è prodotto dal calcolo razionale di questi stessi e di tutte le affezioni dello stesso tipo, che
procurano all'anima i più grandi timori.
Un tempo illimitato contiene la stessa quantità di piacere che uno limitato, quando i
confini dei piaceri si valutino con retto calcolo.
La carne non ammette limiti nel piacere, e il tempo che serve a procurarle tale piacere
è anch'esso senza limiti. Ma il pensiero che ha appreso a ragionare intorno al fine e al limite di
ciò ch'è pertinente alla carne, e che ha soppresso il timore dell'eternità, ci rende possibile una
vita perfetta, per cui non sentiamo più l'esigenza di un tempo infinito: esso non rifugge dal
piacere ne, quando le circostanze ci portano al momento di uscire dalla vita, può dire di
andarsene avendo tralasciato qualcosa di ciò che rende questa ottima.
Chi conosce i limiti della vita, sa che è facile rimuovere il dolore che proviene dal
bisogno e ottenere ciò che rende la vita perfetta; sì che non ha affatto bisogno di tendere a cose
che comportino lotta.
Bisogna ben valutare il fine che ci è dato, e far sì di riportare tutte le nostre opinioni a
una certezza evidente; o tutto quanto sarà pieno di insicurezza di giudizio e di turbamento.
Se ti opporrai a tutte le sensazioni, non avrai più nemmeno criteri cui riferirti e perciò
neanche modo di giudicare quelle che tu dici essere errate.
Se rifiuterai una sensazione senza ben distinguere fra ciò ch'è dovuto a opinione, ciò
che attende conferma, ciò ch'è presente con evidenza in base a sensazione o ad affezione o a un
qualunque atto di intuizione rappresentativa della mente, finirai col confondere anche le altre
sensazioni con opinione vana, e non riuscirai più ad usare alcun criterio di giudizio. E se nelle
nozioni fondate sull'opinione tu farai valere ugualmente sia ciò che attende conferma sia ciò che
non riceve conferma, non potrai sfuggire all'errore, perché non ti sarai liberato assolutamente
dall'ambiguità nel giudizio circa la verità o falsità di una conoscenza.
Se in ogni circostanza non rapporterai la tua azione al fine secondo natura, ma, nella
scelta o nel rifiuto, ti indirizzerai ad altro fine, le tue azioni non saranno in coerenza con le tue
parole.
Tutti quei desideri che, se non esauditi, non arrecano vera sofferenza non sono
necessari: il loro stimolo è tale da potersi annientare facilmente quando appaiano indirizzati a
cose difficili a ottenersi, o siano tali da recare danno.
Di tutte le cose che la sapienza procura in vista della vita felice, il bene più grande è
l'acquisto dell'amicizia.
La medesima persuasione che ci incoraggiò a credere che nessun male è eterno o
lungamente duraturo ci fa anche ritenere che la sicurezza più grande che si attui nelle cose finite
è quella dell'amicizia.
Dei desideri alcuni sono naturali e necessari, altri naturali e non necessari, altri ne
naturali ne necessari, ma nati solo da vana opinione.
Fra i desideri naturali che, se non vengono soddisfatti, non danno luogo a vera
sofferenza, ve ne sono di quelli in cui sussiste una forte tensione; e questi hanno origine da vana
opinione: e ci è difficile dissiparli non per la loro propria natura, ma per le stolte credenze degli
uomini.
Il giusto fondato sulla natura 3 è l'espressione dell'utilità che consiste nel non recare
ne ricevere reciprocamente danno.
Per tutti quegli esseri viventi che non ebbero la capacità di stringere patti reciproci
circa il non recare ne ricevere danno, non esiste ne il giusto ne l'ingiusto; e altrettanto si deve
dire per quei popoli che non poterono o non vollero stringere patti per non recare e non ricevere
danno.
La giustizia non esiste di per se, ma solo nei rapporti reciproci, e in quei luoghi nei
quali si sia stretto un patto circa il non recare ne ricevere danno.
L'ingiustizia non è di per se un male, ma consiste nel timore che sorge dal sospetto di
non poter sfuggire a coloro che sono stati preposti a punirlo.
Colui che fa qualcosa di nascosto contro i patti stipulati reciprocamente circa il non recare ne ricevere danno non può confidare di non essere scoperto, anche se per il presente ciò gli riesce infinite volte: non può mai sapere se riuscirà a non farsi scoprire fino alla sua morte. In senso generale il giusto è uguale per tutti, in quanto è un accordo di utilità reciproca nella vita sociale; ma a seconda della particolarità dei luoghi e delle condizioni risulta che non per tutti il giusto è lo stesso.
Si è disposto nella maniera migliore contro il turbamento che proviene dall'esterno colui che si è reso affini le cose possibili e non del tutto estranee le impossibili. Quanto a quelle cose riguardo a cui non ha avuto nemmeno tale potere, se ne è astenuto del tutto, fondandosi su tutto ciò che è utile a tale scopo. Tutti coloro che hanno avuto la possibilità di godere della massima sicurezza nei riguardi di coloro che li circondavano, vivono in comunità gli uni con gli altri nel modo più piacevole e nella più sicura fiducia; e, pur nutrendo fra loro i più stretti legami, non piangono la dipartita di quelli di loro che muoiono prematuramente, come se questi fossero da compiangere.